PANCHATANTRA
Tantra II
Acquisire Amici
Indice:
DIALOGO TRA CORVO E TOPO
L’INCONTRO CON UN NUOVO AMICO
L’EREMITA E IL TOPO
SHANDILI ED I SEMI DI SESAMO
IL FIGLIO DEL MERCANTE
IL TESSITORE SFORTUNATO
IL SALVATAGGIO DI UN CERVO
Questa è la seconda strategia del Panchatantra, conosciuta col titolo Acquisire Amici, che comincia con la strofa che segue:
Anche senza mezzi
Sapienti uomini e intellettuali
Ottengono quello che vogliono come
Il corvo, il topo, il cervo e la tartaruga.
Ora, inizia la storia.
C’era una volta una città, chiamata Mahilaropyam, situata a sud, non lontano dal punto in cui sorgeva un grande albero, un baniano. Molte specie di uccelli giungevano lì per mangiare i frutti dell’albero. Nel cavo del grande baniano, vivevano rettili velenosi come serpenti e scorpioni. I viaggiatori trovavano nell’albero un grande rifugio durante loro viaggi.
Un corvo, di nome Laghupatanaka, fece di questo albero la sua casa. Mentre un giorno volava verso la città per la cercarvi del cibo, avvistò un cacciatore che trasportava una rete e si avvicinava all’albero come un messaggero di morte. Il corvo immediatamente percepì il pericolo e, sicuro che il cacciatore fosse venuto per intrappolare gli uccelli che si trovavano sull’albero, disse a tutti loro, “Amici, questo malvagio cacciatore ha dei semi nella sua borsa, che spargerà per attirarvi; non fidatevi di lui ed evitate i semi come veleno“. Il cacciatore arrivò, sparse i semi e dispiegò la rete. Dopo, lasciò il posto e si mise a sedere altrove, per non destare il sospetto negli uccelli. Avvertiti da Laghupatanaka, gli uccelli rimasero lontani dai semi, come se fossero bacche velenose.
Nel frattempo, Chitragriva, re delle colombe, vide i semi da lontano e atterrò proprio lì, con il suo seguito di mille colombe. Erano giunte a mangiare i semi, poiché ignoravano gli avvertimenti di Laghupatanaka. Ben presto il cacciatore tirò la sua rete e le intrappolò tutte. Ecco perché gli anziani hanno detto che gli sciocchi non riescono mai a prevedere pericolo. Le persone spesso perdono la lucidità, quando il pericolo si annida dietro un angolo.
Chitragriva e il suo seguito, comunque, mantennero la calma di fronte al pericolo. Ed il re delle colombe fece appello ai suoi amici, affinché non si facessero prendere dal panico. Gli anziani hanno detto, che oltrepassa l’onda del pericolo, chi non è spaventato nel momento di crisi.
“Fuggiamo tutte unite, e atterriamo altrove, dove il cacciatore non ci può raggiungere. Potremo quindi pianificare una strategia per uscire da questa rete. Se non voliamo via adesso, siamo tutte condannate“, spiegò Chitragriva. Allora, tutte insieme si alzarono in volo.
Il cacciatore seguì il volo delle colombe e guardando in alto cantava: “Loro stanno volando insieme, ma non appena vi sarà anche solo una breve rottura, nella loro unità, esse si schianteranno tutte insieme al suolo “.
Anche Laghupatanaka, il corvo, seguiva le colombe che volavano per vedere cosa avrebbero fatto. Il cacciatore, quando perse di vista gli uccelli, si arrese e tornò a casa, rammaricandosi perché aveva perso anche la sua rete.
Quando fu sicuro che il cacciatore aveva rinunciato a raggiungerle, il re delle colombe disse alle sue amiche, “Il cacciatore non si vede più. Ora voliamo tutte verso Mahilaropyam, dove ho un amico, Hiranyaka, che è un topo. Egli è la nostra unica speranza. Solo un amico si precipita in aiuto di chi è in difficoltà“. Gli uccelli, ascoltando il consiglio del re, si diressero in volo verso il forte di Hiranyaka, a Mahilaropyam.
Dal di fuori della fortezza, Chitragriva chiamò, “O amico, vieni, presto! Siamo in grande difficoltà“.
Senza uscire, Hiranyaka gridò,
“Chi sei, Signore e che cosa vuoi da me? Qual è il tipo di problemi che ti arrecano disturbo? Fammi sapere“.
“Io sono il tuo amico Chitragriva, re delle colombe. Vieni fuori presto”. Hiranyaka uscì e fu molto felice di vedere Chitragriva con il suo seguito. Subito chiese cosa stesse succedendo. Il re delle colombe disse: “Qualunque cosa faccia l’uomo, per qualunque motivo, o con qualunque mezzo, e dovunque sia la sua ultima nascita, egli raccoglie le conseguenze per gli stessi motivi, nello stesso modo e nella stessa posizione“.
“Tutti noi siamo intrappolati in questa rete, a causa della nostra debolezza per il cibo. Vieni subito e liberarci da questa trappola“, lo esortò Chitragriva.
Hiranyaka rispose, “Si è giustamente detto, che un uccello è in grado di riconoscere del cibo da ottanta chilometri, ma non riesce vedere il pericolo in agguato accanto a lui”.
Dopo aver pronunciato questo sermone, il topo si propose di liberare prima Chitragriva. Ma il re delle colombe lo implorò di liberare prima i suoi amici. Il topo si arrabbiò, ricordando a Chitragriva che era giusto che diventasse libero prima il re e poi i servi. “No, non è così“, replicò Chitragriva. “Loro sono tutti dedicati al mio servizio e hanno lasciato dietro di loro le famiglie, per venire con me. Devo ripagare il debito”.
Soddisfatto dell‘amore del suo amico verso i suoi sudditi, Hiranyaka disse: “Amico, conosco i doveri di un re. Stavo solo mettendoti alla prova. Ora vi libererò tutti”. Con l’aiuto dei suoi servi, il topo tolse l’intera rete e tutte le colombe ne vennero fuori. Hiranyaka, venuto fuori Chitragriva e tutto il suo seguito, tornò nella sua fortezza.
Avendo assistito a tutta la scena, di Hiranyaka che liberava Chitragriva ed i suoi amici, Laghupatanaka, il corvo, pensò: “Non mi fido di nessuno. Prima ancora, ho una mente volubile. Cercherò la sua amicizia. I nostri antenati hanno sempre detto, che anche se un saggio ha tutto quello che gli serve, deve comunque cercare nuovi amici.
Anche se tutti i fiumi sfociano nel mare, il mare attende ancora che la Luna venga fuori”.
DIALOGO TRA CORVO E TOPO
Dopo aver visto come Hiranyaka aveva aiutato Chitragriva, Lagupatanaka scese dall’albero dove si era appollaiato e chiamò il topo con una voce simile a quella di Chitragriva. Il topo pensò: “Che cosa è successo? Ho dimenticato di liberare qualche uccello? Il re delle colombe deve chiamarmi per lo stesso motivo“.
Non essendo sicuro di chi lo stesse chiamando, il topo gridò da dentro la sua fortezza, “Chi sei tu?”
“Io sono Laghupatanaka, il corvo”.
Il topo si ritirò ancora nella sua fortezza e disse: “Vai via subito, non ti conosco“.
“Sono venuto per una questione importante. Perché non vuoi incontrarmi?“
“Cosa ci guadagno ad incontrarti?”
“Signore, ti ho visto mentre liberavi Chitragriva e il suo seguito. Ho pensato che l’amicizia con te sarebbe stata utile in caso difficoltà. Sto cercando di porgerti la mia mano“.
“Molto strano! Tu sei il commensale e io sono la cena. Come ci può essere amicizia tra i due? Dove c’è antagonismo, non ci può essere amicizia. Non hai sentito gli anziani dire:
Amicizia o matrimonio è sempre
tra pari in casta e in ricchezza.
Non ci può essere alcun tipo di vincolo
tra il debole e il forte.
“Colui che cerca l’amicizia, con qualcuno che non gli è uguale, guadagnerà il ridicolo. Quindi, ti prego di andare via“.
Il corvo rispose: “Hiranyaka, sto aspettando qui alla tua porta. Se rifiuti la mia amicizia, morirò qui, di fame“.
“Ma l’amicizia con te non è possibile. Seppure entrambi caldi, l’acqua uccide sempre il fuoco“.
“Non ci siamo ancora visti uno con l’altro. Come ci può essere inimicizia tra noi due?“.
Hiranyaka allorà spiegò: “Ci sono due tipi di inimicizia. Il primo è naturale mentre il secondo è artificiale. Il secondo tipo scompare, quando scompare ciò che ne è stata la causa. Ma l’inimicizia naturale, termina solo con la morte di uno dei due nemici“.
“Puoi rendere il concetto più chiaro?” Chiese Laghupatanaka.
“Sì, l’inimicizia artificiale è sempre basata su una qualche ragione. L’inimicizia naturale è come quella tra un serpente e una mangusta, l’acqua e il fuoco, i Devata e i Rakshasa, i cani e i gatti, i ricchi e i poveri, i dotti e gli analfabeti, tra le donne di virtù e di vizio“.
Il corvo allora obiettò: “Signore, quello che dici è irragionevole. C’è sempre una ragione dietro l’amicizia e l’inimicizia. Questo è il motivo per cui un saggio, dovrebbe sempre cercare l’amicizia e non l’inimicizia“.
“Vero, ma è sciocco pensare che tu non venga per nuocere perché sei un individuo di carattere. Le persone accecate dall’ignoranza e dalla rabbia, non considerano il tuo carattere“. Rispose il topo.
“L’amicizia con chi è cattivo, è come una pentola di creta facile da rompere, ma difficile da ricongiungere. Con gli uomini buoni è come la pentola d’oro, difficile da rompere, ma facile da riparare. Mi impegno che non hai motivo di temere pericoli da me”, disse il corvo.
Hiranyaka ha detto, “Non ho fede negli impegni. Non fidatevi di un nemico con cui avete fatto la pace. Anche se il foro è piccolo, l’acqua filtra attraverso di esso e può affondare una nave.
Non fidarsi di una persona inaffidabile
La fede ha i suoi limiti
Il male che porta la fiducia
Vi lascia completamente distrutti
Colui che è molto scettico
Il potente non può porgli fine
Colui che si fida facilmente degli altri
Anche il più debole lo può uccidere.
Dopo questo lungo sermone, Laghupatanaka non sapeva come rispondere. Hiranyaka, pensò, era un essere di grande conoscenza e ciò era per lui una forte ragione, per a cercare la sua amicizia. Tornando a rivolgersi al topo, disse, “Sette parole sono sufficienti a mettere insieme due persone perbene. Abbiamo già parlato molto, ciò ci rende dei buoni amici. È per questo che ti prego di credere a quello che dico. Se non è possibile, io resterò qui fuori e tu mi puoi parlare dall’interno della tua fortezza“.
Impressionato dalla sua sincerità, Hiranyaka disse: “Va bene, ma non dovrai fare un passo dentro la mia fortezza”. Quando Laghupatanaka acconsentì a tale condizione, i due divennero amici, si godettero le loro riunioni quotidiane e le lunghe chiacchierate. Essi si aiutarono a vicenda, il corvo portando dei pezzi di carne e reliquie per il topo, da offrire a Dio nei suoi templi, e il topo a sua volta portava a Hiranyaka grani di riso e altri prodotti alimentari. Così diventarono grandi e inseparabili amici.
L’INCONTRO CON UN NUOVO AMICO
Hiranyaka, il topo, e Laghupatanaka, il corvo, divennero grandi amici. Un giorno, il corvo giunse chiamando il topo, con gli occhi pieni di lacrime. Preoccupato, il topo chiese, “Qual è il problema? Perché sei così triste?“
“Sono assolutamente stufo di questo paese. Voglio andare altrove”, rispose il corvo.
“Ma qual è la ragione di questo improvviso cambiamento”, chiese il topo.
“Vi è la carestia, qui. La gente muore come le cavallette. Nessuno sta offrendo riso cotto per la pace dei morti. Quindi, non ho cibo. I cacciatori sono impegnati nella cattura di uccelli con le loro reti. Sono fuggito per poco. Non so quando arriverà il mio turno. Voglio lasciare questo paese prima che accada “, rispose il corvo.
“Quali sono i tuoi piani di viaggio, allora?” chiese il topo.
“C’è un grande lago nel mezzo di una vasta foresta, a sud. Ho un amico lì, una tartaruga di nome Mandharaka. Lui è un ottimo ospite che mi aiuterà a trovare cibo, pesce, pezzi di carne, e così via. Passerò il mio tempo felicemente con lui, discutendo ogni giorno di piccole e grandi cose del mondo. Non voglio morire miseramente nella rete di un cacciatore“.
Laghupatanaka continuò, “Gli anziani hanno sempre detto, che sono felici coloro che hanno la fortuna di non assistere alla distruzione dei raccolti e al declino dei popoli. Niente è impossibile per una persona competente. Non c’è paese che non risponda agli sforzi. Per uno studioso, ogni paese è il suo paese e non vi è nessun nemico per una persona gentile. L’apprendimento e la potenza non sono la stessa cosa. Ricordate che il re è rispettato solo nel suo paese, ma uno studioso è onorato ovunque”.
Hiranyaka disse: “Se è così, anche io ti seguo. Sono anche io molto triste“.
“Perché sei triste?” Chiese il corvo.
“E’ una lunga storia. Te la racconterò, quando avremo raggiunto il posto dove si trova il tuo amico“, rispose il topo.
“Ma come puoi viaggiare con me,” chiese il corvo. “Io sono un uccello e so volare. Tu non puoi farlo.
“Questo non è un problema. Mi siederò sulla tua schiena e potremo volare via“, suggerì il topo.
“Questa sì che è un’idea. Sarò doppiamente felice lì, perché avrò la compagnia della tartaruga e anche la tua. Vieni, Sali sulla mia schiena. Voleremo insieme”.
In una bella giornata, il corvo, con il topo sulla schiena, si alzò in volo e si diresse verso il grande lago nel mezzo della foresta. Quando il suo amico Mandharaka, la tartaruga, lo vide con il topo sulla schiena, pensò: “Quel corvo non è un corvo ordinario. E’ meglio che mi nasconda da lui“. La tartaruga subito si nascose sotto l’acqua. Ma il corvo vide la tartaruga andare giù e capì che il suo amico non lo aveva riconosciuto. Il corvo allora, lasciato il topo alla base di un albero, volò sulla sua in cima e rivolto alla tartaruga, disse ad alta voce, “O Mandharaka, sono io, il tuo amico Laghupatanaka. Vieni fuori e dammi il benvenuto, perché sono venuto a trovare un vecchio amico dopo tanto tempo“.
Riconoscendo la voce del suo amico, Mandharaka venne fuori dall’acqua e con le lacrime di gioia agli occhi, disse: “O Laghupatanaka, sono così felice che sei arrivato. Vieni e abbracciami. Ci incontriamo dopo un lungo periodo di tempo e questo è il motivo per cui non ho potuto riconoscerti immediatamente. Conosci il detto secondo il quale non si deve fare amicizia con colui del quale non conosci il potere e le origini“.
Il corvo allora scese dall’albero e i due si abbracciarono con gioia. Subito iniziarono, raccontando l’un l’altro, quello che era successo nel lungo intervallo della loro separazione. Il topo, Hiranyaka, venuto fuori da un buco dove si era nascosto, salutò la tartaruga e si sedette a fianco del corvo. La tartaruga chiese al corvo: “O Laghupatanaka, chi è questo tuo piccolo amico? Perché lo hai portato fin qui sulla schiena, se lui è il tuo cibo?“
“Lui è il mio amico Hiranyaka. Non posso vivere senza di lui. Così come non si possono contare le stelle nel cielo e la sabbia in riva al mare, non riesco ad enumerarti le sue grandi qualità. Lui era stanco di questo mondo. Questo è il motivo per cui mi ha accompagnato durante questa mia visita a te “, spiegò il corvo.
“Ma ci dovrebbe essere qualche ragione per la sua disperazione“, si informò la tartaruga. Il corvo rispose: “Gli ho chiesto di espormene le ragioni. Ha detto che lo avrebbe raccontato dopo il nostro arrivo qui”. Poi, rivolgendosi al topo, il corvo gli chiese:” Ora è il tuo turno di dirci perché sei così stanco di questo mondo.
Hiranyaka cominciò a raccontare la sua storia.
L’EREMITA E IL TOPO
“Nella città meridionale di Mahilaropya“, iniziò a narrare Hiranyaka, “viveva, in un tempio di Shiva, alla periferia della città, un eremita di nome Tamrachud. Ogni giorno, si recava in città, a raccogliere elemosine e cuocere il cibo. Dopo il pasto, ciò che era rimasto, lo conservava nella sua ciotola per l’elemosina che appendeva a un chiodo e quindi si accomodava per dormire. Avrebbe dato gli avanzi ai poveri, in cambio di servizi resi al tempio. Essi, ogni giorno, lo avrebbero lavato, pulito e decorato con modelli di gesso“.
“Un giorno, alcuni miei parenti si lamentarono con me,” O Signore, l’eremita conserva il cibo nella sua ciotola e lo appende in alto, su un piolo. Non siamo in grado di arrampicarci fino ad esso. Tu solo puoi raggiungere qualsiasi posto. Perché dovremmo andare altrove quando ci sei tu? Andiamo dove sta l’eremita e con il tuo aiuto ci sfamiamo tutti quanti”.
“Accompagnato dai miei parenti, sono andato dall’eremita, sono balzato sulla ciotola e ho tirato giù il cibo che aveva conservato. Poi, tutti noi abbiamo consumato un buon pasto. Ripetemmo l’azione ogni giorno, fino a quando l’eremita ha scoperto quello che stavamo facendo. Allora ha preso una canna di bambù e ha iniziato a colpire con essa la ciotola del cibo. Quel rumore era usato per spaventarci, e avremmo passato tutta la notte in attesa di una tregua da questo rumore. Ma l’eremita non ha mai smesso di colpire col bambù. “
“Nel frattempo, un visitatore di nome Brihat, giunse in visita all’eremita. Tamrachud lo accolse con grande rispetto e facendo tutto il possibile per rendere l’ospite d’onore soddisfatto. Di notte, l’ospite voleva raccontare all’eremita dei suoi viaggi. Ma Tamrachud era occupato a spaventare i topi con il bambù, senza prestare molta attenzione a ciò che il suo ospite narrava. A metà del racconto, l’ospite gli fece alcune domande, a cui diede risposte indifferenti.
“Arrabbiato per la distrazione di Tamrachud, il visitatore gli disse: “Tamrachud, non sei un mio grande amico, perché non stai attento a quello che sto dicendo. Lascerò il questo posto stasera stessae cercarò rifugio altrove. Gli anziani hanno sempre detto, che non si deve accettare l’ospitalità di un tale ospite, che non vi accoglie volentieri, non offre una sistemazione adeguata e non fa domande sul vostro benessere“.
“Il tuo stato ti ha dato alla testa. Tu non fai più attenzione alla mia amicizia. Non sai che questo comportamento ti porterà all’inferno. Sono davvero dispiaciuto per quello che ti è successo. Sei diventato vanitoso e orgoglioso. Lascio questo tempio immediatamente“.
“Dispiaciuto per le parole del suo ospite, Tamrachud supplicò,”O ospite adorante, per favore, non essere duro con me. Io non ho altri amici che te. Ti spiego il motivo per cui non ero attento al tuo discorso sulla religione. C’è questo topo, che ogni giorno ruba il mio cibo anche se lo tengo in alto. Di conseguenza, non sono in grado di nutrire i poveri che lavorano per mantenere pulito il tempio, che ora è in cattive condizioni. Per spaventare il colpevole, devo continuare a battere la ciotola del cibo, con il bastone di bambù tengo con me. Questo è il motivo per cui non ero in grado di prestare attenzione ai profondi e dotti racconti che stavi esponendo”.
“Comprendendo quale fosse realmente il problema, il visitatore chiese all’eremita,” Sai dove vive quel topo?“
“Signore, non ne ho idea“, rispose Tamrachud.
Il visitatore disse: “Questo topo deve aver immagazzinato un sacco di cibo da qualche parte. E’ questa abbondanza che gli dà l’energia per saltare così in alto e mangiare tutto il tuo cibo. Quando qualcuno guadagna molta ricchezza, quel mucchio di denaro aumenta la sua forza e la fiducia“.
“Brihat continuò”, C’è una spiegazione per tutto, in questo mondo. C’è una ragione perché Shandili cercava di scambiare i semi di sesamo greggi, in cambio di semi di sesamo sgranati“.
“Tamrachud Brihat chiese di narrargli di questo Shandili e la storia dei semi di sesamo“.
SHANDILI ED I SEMI DI SESAMO
“Brihat iniziò a raccontare la storia. “Un giorno cercavo l’ospitalità di un bramino, per le cerimonie sacre legate alla stagione dei monsoni. Egli fu così gentile, da offrirmi un posto nella sua casa e in cambio ho reso i miei servizi per aiutarlo nei suoi rituali. Mentre continuava questa sistemazione, un bel giorno ho sentito il bramino e sua moglie Shandili, discutere cosa fare per la giornata. Il marito diceva a sua moglie: “Oggi è il momento in cui il Sole inizia il suo viaggio verso nord e il tempo in cui la gente ricca e pia offre doni ai bramini. Sto recandomi quindi al paese più vicino per le offerte. Farai bene ad invitare un bramino come ospite quest’oggi e offrirgli cibo nel nome del sole“.
“La moglie si arrabbiò e gli disse: “Come posso offrire qualcosa a qualcuno se la tua casa è così povera? Non ti vergogni a fare una tale proposta? Ho sprecato tutta la mia vita, come tua moglie. Non ho assaggiato un buon pasto finora, neanche un solo giorno. Né ho alcun gioiello“.
Anche se preso alla sprovvista, il bramino si riprese rapidamente e disse: “Queste parole non provengono da te. Il saggio dice, che se si condivide anche la metà del proprio pasto con un mendicante, nella vita si otterrà quello che si desidera. Ciò che di buono il ricco raccoglie, a seconda della generosità delle sue donazioni, i poveri lo ottengono, addirittura separandosi da dal solo centesimo che hanno. Il donatore merita di essere servito, anche se è povero. Ma un ricco avaro va evitato. È come la fonte e il mare. Le persone bevono l’acqua dalla fonte e non dal mare. Dobbiamo sempre dare a chi merita. L’avidità può solo distruggere una persona”.
“Come è possibile?” Chiese la moglie.
“Il marito narrò allora a Shandili, la storia del cacciatore e dello sciacallo avido.
Un giorno un cacciatore si recò nella foresta in cerca di una preda. Scorgendo un cinghiale ben nutrito, prese il suo arco e scoccò una freccia appuntita verso il cinghiale. Benché gravemente ferito, il cinghiale caricò selvaggiamente il cacciatore e lo uccise. Anche il cinghiale morì poco dopo, per le ferite infertegli dal cacciatore“.
“Nel frattempo, uno sciacallo affamato, non sapendo di essere condannato a morire, giunse sulla scena dove giacevano i corpi del cacciatore e del cinghiale. Era eccitato dalla vista di tanto cibo e pensò: “Dio oggi mi è favorevole. Infatti ha mandato per me così tanto cibo. Non è senza ragione che i saggi hanno detto, che chi ha fatto una buona azione in una nascita precedente, è premiato in questa nascita, anche se lui non fa alcuno sforzo. Questa grande festa è certamente il risultato di qualcosa di buono che ho fatto in una vita passata. Ma si deve godere della propria ricchezza in piccole dosi. Pertanto, inizierò il mio pasto con questo budello dell’arco“.
Lo sciacallo si avvicinò al corpo del cacciatore e cominciò a mordicchiare la corda dell’arco. La corda, che era molto tesa, improvvisamente si spezzò e scattò con grande forza, uccidendo lo sciacallo.
“Ecco il perché“, il bramino spiegò a sua moglie: “Non hai sentito che la longevità di tutti gli esseri, il destino, la ricchezza, l’apprendimento e la morte sono predeterminate da Dio, anche se il bambino è nel grembo della madre?“
Se è così”, disse Shandili,” Ho alcuni semi di sesamo grezzi in casa. Farò una torta con quelli e la servirò a un bramino”. Felice alle parole della moglie, il bramino partì per il villaggio vicino. La moglie, imbevuti i semi in acqua tiepida e rimossa loro la buccia, li lasciò su un panno ad asciugare al sole. Mentre la moglie del bramino era occupata con altre faccende, arrivò un cane e orinò sui semi lasciati sul panno ad asciugare“.
“Quando la moglie si rese conto di ciò che il cane aveva fatto, si sentì infelice per tutto il suo sforzo che era stato vano. Pensava che nessuno poteva annullare la volontà di Dio. Pensò, “Questi semi non possono essere regalati a nessuno. Vedrò se li posso scambiare con altri semi grezzi. Chiunque sarà d’accordo su questo baratto“.
“Brihat continuò il suo racconto,” La moglie del bramino giunse presso la stessa casa dove, nel frattempo, mi ero recato io in visita per accettare le offerte. Lei offriva di scambiare i suoi semi, con chiunque fosse disposto ad accettarli. Allora, la padrona di casa andò fuori e si dimostrò pronta ad accettare il baratto. Intervenne però il figlio dicendole: “Mamma, quei semi non sono buoni. Perché qualcuno dovrebbe dare via dei semi buoni per dei semi crudi? Ci deve essere una qualche ragione per questo“. La casalinga abbandonò subito l’idea di prendere i semi dalla moglie del bramino“.
“Dopo che Brihat ebbe completato la storia, chiese a Tamrachud,” Non conosci il percorso che il topo segue per venire qui?“
“Non ne ho idea”, rispose Tamrachud.
“Possiedi qualche strumento per scavare?” Chiese il visitatore.
“Sì, ho un foraterra piantatore con me“.
“In questo caso, seguiamo le tracce del topo prima che vengano cancellate“, disse il visitatore-.
Hiranyaka riprese il suo conto e disse: “Ascoltando la conversazione tra Tamrachud e Brihat, ho pensato che la mia fine era arrivata. Proprio come poteva trovare il mio deposito di vivande, era anche in grado di rintracciare il mio forte. I saggi sono in grado di misurare la forza del rivale, anche solo guardandolo. Decisi subito di scegliere un percorso diverso ed ero ormai per la mia strada con gli altri topi, quando un grosso gatto ci vide e si avventò subito su di noi, uccidendo un certo numero del mio seguito”.
“Ad eccezione di me, quei topi che erano riusciti a sfuggire al gatto, presero la solita vecchia strada per la fortezza, ma, essendo rimasti feriti, lasciarono tracce evidenti del loro passaggio. Il visitatore, seguì la scia di sangue, che i topi in fuga lasciavano alle loro spalle e ben presto, raggiunse il mio fortino. Lì, Brihat e Tamrachud, scavarono trovando il deposito di cibo. Il visitatore disse a Tamrachud“, Ecco il segreto dell’energia del topo. Ora, potrai dormire in pace“. Poi portarono le scorte di cibo al tempio, la casa di Tamrachud“.
“Sono tornato dove avevo nascosto il cibo. Ora era come un deserto. Senza cibo, il luogo offriva una scena orribile. Non sapevo dove andare e cosa fare per ritornare alla pace della mia mente. In qualche modo, ho passato la giornata nel dolore e quando era sera mi recai al tempio, seguito da ciò che restava dei miei compagni. Allertato dal rumore che avevamo fatto arrivando, Tamrachud iniziò nuovamente a colpire la ciotola del cibo con il bambù e Brihat, il visitatore, gli chiese perché lo stesse facendo. Tamrachud gli spiegò che eravamo tornati. Sentendo ciò il visitatore si mise a ridere e disse “Tamrachud, amico, non avere paura adesso. Il topo ha perso la sua energia. Non può fare alcuna mascalzonata ora”. Sentendo queste parole mi arrabbiai e provai a saltare sulla ciotola del cibo, ma caddi a terra senza riuscire a raggiungere la ciotola.”
“Ero abbattuto da questo fallimento. Ma la mia tristezza aumentò, quando sentii il mio seguito dirsi l’un l’altro, che non ero più in grado di procurare il cibo per loro e che avrebbero dovuto lasciarmi subito. Mi resi conto allora dell’importanza della ricchezza e decisi di rifarmi in qualche modo su Tamrachud. Ma quando feci un altro tentativo di saltare sulla ciotola, il visitatore mi vide e sbatté il bambù sulla mia testa. In qualche modo sono riuscito a scappare“.
“Gli anziani hanno sempre detto che ognuno ottiene ciò che gli è destinato. Nemmeno Dio può cambiare il destino. Così, ho smesso di rimuginare su quello che è successo, perché ciò che è nostro non può mai diventare degli altri“.
“Spiegaci questo concetto“, chiesero Laghpatanaka e Mandharaka.
IL FIGLIO DEL MERCANTE
– Sagargupta era un commerciante, che viveva in una delle grandi città del paese. Aveva un figlio, che un giorno acquistò un libro, il cui contenuto consisteva in un singolo verso. Il verso recitava:
“L’uomo ottiene ciò che è nel suo destino
Anche Dio non può impedirlo
Per me non fa differenza
Ciò che è mio non può mai diventare di altri“.
“Qual è stato il prezzo di questo libro?” chiese il padre.
“Cento rupie“, rispose il figlio.
Il padre si arrabbiò e disse: “Tu sei un pazzo. Hai pagato cento rupie per un libro che ha un solo verso. Non crescerai mai nella vita. Lasciare subito la mia casa. Qui non c’è posto per te“.
– Sbattuto fuori di casa, il ragazzo si trasferì in un’altra città e vi cominciò una nuova vita. Un giorno, un vicino di casa gli chiese: “Qual è il tuo luogo natio e qual è il tuo nome?”
Il ragazzo rispose: “L’uomo ottiene ciò per cui è destinato“. Egli dava la stessa risposta a chi chiedeva il suo nome. Da quel giorno in poi, la gente cominciò a chiamarlo Praptavya, che ha lo stesso significato della frase che recitava per indicare il suo nome.
“Giunse l’estate e la città la stava celebrando con una grande fiera. Uno dei visitatori della fiera era la principessa della città di Chandravati, seguita dalle sue ancelle. Chandravati era giovane e bella e mentre stava facendo il giro della fiera, vide un guerriero estremamente affascinante e subito si innamorò di lui. Lei disse ad una delle sue ancelle, “E’ tuo compito realizzare il modo per farci incontrare”.
La cameriera corse dal guerriero e gli riferì: “Ho un messaggio per te da parte nostra principessa. Lei dice che morirà se non la incontri di oggi“.
“Ma dimmi dove e come posso vederla. Come posso entrare nella sua residenza?” Chiese il guerriero.
La cameriera rispose: “Vieni a palazzo e vedrai una corda appesa alle alte mura. Sali e salta oltre il muro con l’aiuto della corda“.
“Va bene, cercherò di farlo stasera“, disse il guerriero.
Quando giunse la notte, il guerriero si perse d’animo e pensò: “Oh, questa non è una cosa corretta da fare. Gli anziani hanno detto: “Colui che ha una relazione con la figlia di un insegnante,la moglie di un amico o di un capo o di un servo, commette il peccato di uccidere un bramino. Inoltre, non fare quello che ti porta una cattiva fama o ciò che ti nega un posto in paradiso”. Alla fine, il guerriero decise di non incontrare la principessa e rimase a casa.
“Uscendo per una passeggiata nella notte, Prapta notò la corda al di fuori del palazzo reale e curioso di sapere perchè fosse lì, si arrampicò scavalcando il muro ed infine giunse dentro l’appartamento della principessa. La principessa lo scambiò per il guerriero e gli servì la cena; dopo, in grande estasi disse a Prapta, “Io mi sono innamorata di voi a prima vista. Io sono tua. Tu sei nel mio cuore e nessuno tranne te può essere mio marito. Perché non dici qualcosa?“
Egli rispose: “L’uomo ottiene ciò per cui è destinato“. La principessa all’improvviso, si rese conto che quell’uomo non era il guerriero che aveva visto nel corso della giornata e gli chiese di lasciare immediatamente il palazzo. Essa si assicurò che se ne andasse per la stessa strada da cui era arrivato. Prapta, lasciato il palazzo, quella notte trovò rifugio in un tempio fatiscente, dove si apprestò a dormire.
“Lo sceriffo della città giunse in quello stesso tempio, dove aveva organizzato un incontro con una donna. Vide Prapta dormire lì e volendo mantenere il suo incontro segreto, gli chiese chi fosse. Prapta recitò il versetto del destino. Lo sceriffo allora disse: “Signore, questo è un brutto posto per dormire. Può andare a casa mia e dormire lì stanotte, al mio posto“. Il figlio del mercante accettò la proposta.
A casa dello sceriffo, la sua giovane e bella figlia, Vinayawati, aveva chiesto al suo amante venire da lei per incontrarla segretamente lì, nella notte. Quando Prapta vi giunse, seguendo il consiglio dello sceriffo, Vinayawati lo scambiò nel buio per il suo amante segreto. Aveva organizzato una festa per lui e lo sposò secondo la tradizione Gandharva. Notando che Prapta non aveva pronunciato una parola, la figlia dello sceriffo gli chiese di dire qualcosa. Prapta recitò il suo solito verso. Vinayawati, realizzato il suo errore, gli chiese di andarsene subito.
Come Prapta, ancora una volta si stava avviando per la sua strada, vide un corteo nuziale entrare in città, guidato dal fidanzato di nome Varakirti. Allora, si unì al corteo. La sposa era la figlia di un mercante molto ricco della città. Questa processione, raggiunse la sala delle nozze, un po’ prima dell’orario previsto per la celebrazione del matrimonio.
E così, i parenti e amici dello sposo erano giunti sulla scena del matrimonio con un po’ di anticipo e qui, il padre della sposa, aveva apprestato una pedana costosa e allegramente decorata per il matrimonio.
Nel frattempo, un elefante impazzito, dopo avere scalzato il mahout, si diresse verso il luogo del matrimonio. Lo sposo e i suoi invitati seguirono le persone spaventate, che fuggivano dalla scena del matrimonio.
Prapta, vide per caso la sposa, giunta da poco, spaventata e abbandonata sul palco, tremante di paura. Saltò sul palco e disse alla figlia del commerciante che non doveva temere per la sua vita e che lui l’avrebbe salvata ad ogni costo. Con grande coraggio e presenza di spirito, si avvicinò all’elefante con un bastone e cominciò a minacciarlo. L’elefante, per fortuna, abbandonò la scena. Prapta prese la mano della sposa nella sua, in segno di affidabilità.
“Quando tornò la pace, anche Varakirti, con i suoi amici e parenti, tornarono presso il palco e vedendo la mano della promessa sposa, nella mano di uno sconosciuto, si indirizzò al mercante, “Signore, avete promesso la mano di vostra figlia a me. Ma vedo che l’avete data a qualcun altro. Questo è scorretto“. Il mercante rispose: “Figlio mio, io non so nulla. Anch’io sono fuggito via. Lasciatemi ascoltare cosa ha da dire mia figlia“.
La figlia disse al padre: “Quest’uomo coraggioso, mi ha salvata dall’elefante impazzito. Egli è il mio salvatore. Non sposerò nessuno, se non lui”. Era frattanto giunta la sera e sentendo il trambusto, era arrivata sul luogo delle nozze, per vedere cosa stava succedendo, anche la principessa reale. La figlia dello sceriffo era pure giunta fin lì, per capire quello che era successo. Arrivò persino il re e chiese a Prapta di dirgli tutto senza timore. Prapta, come al solito, recitò il solito versetto.
Questo verso suonò come un campanello nella testa principessa. Si ricordò di quello che era successo nella notte e pensò “Anche Dio non può annullare ciò che è destinato“. La figlia dello sceriffo, a sua volta ricordò gli eventi della notte e pensò “Non c’è nulla da rimpiangere, né motivo di sorpresa“. Ascoltando quello che aveva detto Prapta, anche la figlia del mercante pensò “Nessuno può togliere quello che il destino mi dà“.
“Il re ora sapeva tutto e il mistero del verso. Allora diede sua figlia in sposa a Prapta e anche un migliaio di villaggi come regalo. Egli, inoltre, incoronò Prapta come principe.
Fu così che il figlio del mercante e la principessa vissero per sempre felici e contenti.
Hiranyaka, il topo, finì così la storia sui suoi problemi concludendo:
Anche Dio non può annullare
Ciò che è destinato
Non c’è nulla da rimpiangere
Né deve meravigliare
Nessuno può togliere
Quel che il destino mi dà.
“Sono deluso. Ecco perché, il mio amico Laghupatanaka, mi ha portato da te“.
Rivolto al topo Mandharaka, la tartaruga, disse: “O Hiranyaka, il corvo sì, è un vero amico. Anche se aveva fame e tu eri il suo pasto, lui non ti ha ucciso. Inoltre, ti ha portato qui sulla schiena. Devi farti amico colui che non si lascia corrompere dalla ricchezza e che sta con te nel momento della difficoltà“.
La tartaruga proseguì: “Pertanto, rimani qui senza timore o esitazione. Dimentica la perdita di ricchezza e di riparo. Ricorda che l’ombra di una nuvola che passa, l’amicizia dei malvagi, un pasto cucinato, la giovinezza e la ricchezza, non rimangono a lungo. I saggi non sono mai attaccati alla ricchezza. Non viene con te, neanche per pochi metri, nel tuo ultimo viaggio. C’è un sacco di dolore a guadagnare denaro e nel proteggerlo. Il denaro, quindi, porta dolore“.
“Quello che non è nostro, non resterà con noi. Hai mai sentito la storia di Somilaka, che ha guadagnato un sacco di ricchezze, senza però riuscire a tenerle?“
“Come mai?” Chiese Hiranyaka.
Mandharaka cominciò a raccontare a Hiranyaka la storia del tessitore sfortunato.
IL TESSITORE SFORTUNATO
Somilaka era un tessitore che viveva ai margini della città. Era un esperto nel realizzare raffinati capi di abbigliamento, degni di re e principi. Godeva del patrocinio della nobiltà. Nonostante tutto questo, era più povero di quei tessitori che lavoravano facendo uso di panni ruvidi per la gente comune. Preoccupato della sua condizione, un giorno disse a sua moglie: “Guarda cara, quanto sono diventati ricchi questi tessitori di stoffa grossolana. C’è qualcosa di sbagliato in questo posto. Io non ho successo qui. Andrò altrove“.
“No caro. Non è vero che tu puoi avere successo altrove. La nostra fortuna è legata a quello che abbiamo fatto in una vita precedente. Se hai compiuto una buona azione nella tua vita precedente, raccoglierai il raccolto in questa vita, senza alcuno sforzo. Se non c’è nel tuo destino, non sarà possibile ottenerlo, anche con grande sforzo. Proprio come il sole e l’ombra sono inseparabili, anche cause ed effetti sono legati gli uni agli altri“.
Somilaka non era d’accordo con lei. Egli disse: “Senza sforzo, non è possibile ottenere nulla. Senza causa non vi è effetto. Anche se si ottiene un buon pasto a causa di una buona azione, svolta in passato, occorre usare le proprie mani per mangiare. La ricchezza viene da una persona che lavora. Non vi è alcun senso nel cantare il nome di Dio. Si dove fare la propria parte per primi. Se non si ha successo, nonostante il proprio sforzo, non si è da biasimare. Pertanto, ho deciso di andare all’estero“.
Ignorando le suppliche della moglie, Somilaka lasciò la sua città e raggiunse Vardhamanapuram. Lavorando giorno e notte, guadagnò trecento sovrane d’oro in tre anni. Pensò che sarebbe dovuto tornare a casa e iniziò il viaggio di ritorno. Al tramonto si trovò nel bel mezzo di una foresta. Gli animali selvatici avevano iniziato la loro caccia di prede. Il tessitore, salito in alto su un albero, iniziò a dormire su un grosso ramo. Ebbe un sogno:
Il Dio dell’Azione e il Dio del Destino parlavano tra di loro. Destino chiedeva ad Azione, “Il tessitore non è destinato a vivere nel lusso. Perché gli hai dato trecento sovrane?” Azione rispondeva: “Devo dare a coloro che tentano e faticano. Che il tessitore possa tenerle o meno, è nelle vostre mani“.
Il sogno scosse il tessitore. Guardò nella sua borsa e si avvide che il denaro era sparito. Col cuore spezzato, Somilaka cominciò a piangere: “Ahimè, ho perso quello che in tre anni ho guadagnato con grande sforzo. Sono diventato di nuovo un uomo povero. Non posso andare a casa in queste condizioni e mostrare la mia faccia a mia moglie”. Vide che era inutile rimuginare su quanto era successo e decise di recarsi nuovamente a Vardhamanapuram per riprovare.
Questa volta, riuscì a raccogliere cinquecento sovrane in un anno. Egli conservò tutti questi soldi in una piccola borsa e iniziò il suo viaggio di ritorno. Quando giunse il tramonto, era di nuovo entrato nella foresta. Questa volta non si mise a dormire, temendo che avrebbe perso i suoi soldi, continuò a camminare attraverso la foresta. Questa volta vide quelle due stesse persone, che gli erano a suo tempo apparse in sogno, venire nella sua direzione.
Esse ripeterono la medesima conversazione su Dio che premia una persona laboriosa e il destino che glielo nega. Il tessitore cercò subito nella sua borsa e scoprì che in essa non c’era più l’oro. Questa volta Somilaka, perso il suo coraggio, pensò che doveva suicidarsi. Costruì una corda robusta con le fibre aveva trovato nella foresta, legò un’estremità della corda ad un ramo elevato dell’albero e fece un cappio all’altra estremità. Tutto era pronto per il suo suicidio, quando udì una voce nel cielo:
“O Somilaka, non essere avventato. Io sono il destino che ha portato via la tua ricchezza. Non posso darti più di quanto è necessario per le tue esigenze basilari. Non un centesimo di più. Ma sono soddisfatto del tuo spirito avventuroso. Esprimi un desiderio. Io lo realizzerò“.
“Per favore, mi dia tanta ricchezza“, rispose il tessitore.
“Cosa te ne fai di così tanta ricchezza?” chiese la voce.
Il tessitore rispose: “La gente serve colui che è ricco, anche se è uno spilorcio“.
“In questo caso, torna a Vardhamanapuram dove due ricchi mercanti, Guptadhana e Upabhuktadhana stanno facendo affari. Dopo averli studiati bene, decidi chi vuoi diventare, Guptadhana, l’uomo che guadagna un sacco di soldi, ma non spende un centesimo di essi o Upabhuktadhana, l’uomo che guadagna, ma anche gode della ricchezza che ha accumulato“.
Somilaka seguì consiglio e tornò a Vardhamanapuram che raggiunse la sera, dopo un viaggio faticoso. Con grande difficoltà rintracciò la casa di Guptadhana e vi entrò, nonostante la resistenza da parte della famiglia del commerciante. Quando giunse il tempo per la cena, il mercante a malincuore diede del cibo a Somilaka, sottolineando come egli fosse un ospite indesiderato. Il tessitore trovò poi un angolo della casa dove poteva dormire.
Somilaka ebbe ancora lo stesso sogno in cui, Azione e Destino, stavano dibattendo su Guptadhana che gli dava del cibo.
Destino diceva ad Azione, “Hai fatto in modo che Guptadhana desse del cibo a Somilaka“.
Azione rispondeva: “Tu non me ne puoi dare la colpa. Ho dovuto garantire che Somalika mangiasse. Stava a te decidere chi meritava cosa“.
Il giorno successivo, Destino fece in modo che Guptadhana avesse un attacco di colera, dovendo rinunciare così al suo pasto. In questo modo ciò che era stato dato via, è stato salvato.
Più tardi, Somilaka visitò la casa di Upabhuktadhana, dove questi lo accolse con grande amore e rispetto. Il tessitore ebbe un buon pasto e si addormentò. Come al solito egli fece un sogno e in esso, gli apparvero le stesse due figure.
Destino diceva ad Azione, “O Azione, Upabhuktadhana ha speso un gran numero di soldi per intrattenere Somilaka. Ne ha anche preso in prestito per rendere felice l’ospite. Non è nel suo destino avere una maggiorazione. Come farà a restituire ciò che ha preso in prestito?“
Azione rispose: “Il mio lavoro è quello di vedere che Somilaka abbia quello che merita. Se Upabhuktadhana oltrepassa i limiti per intrattenere il suo ospite, non è colpa mia. Sta a te decidere cosa deve essere fatto“.
Il giorno dopo, un messaggero della famiglia reale giunse da Upabhuktadhana e gli diede una grossa somma di denaro per conto del re.
Somilaka pensò: “E ‘meglio essere come Upabhuktadhana. Rende piacevole la vita usando tutto ciò che ha. Qual è lo scopo di essere ricco ma avaro? Io preferisco essere Upabhuktadhana”.
Compiaciuti, gli Dei fecero piovere su di lui, tutta la ricchezza di cui aveva bisogno per godersi la vita.
IL SALVATAGGIO DI UN CERVO
Mandharaka finì la storia di Somilaka, dicendo a Hiranyaka e Laghupatanaka, che una persona ricca, che non spende i soldi, è povera come può esserlo qualsiasi persona povera. Non essere in grado di beneficiare delle cose, è comune sia ai poveri che ai ricchi avari. Nulla su questa terra è più grande della carità e non c’è più grande nemico dell’avarizia.
Il corvo allora consigliò a Hiranyaka, “Ascoltate ciò che la tartaruga sta dicendo. Gli anziani hanno detto, che è facile trovare amici che parlano dolcemente, mentre è difficile trovare amici che si avventurano a dirti la verità, per quanto amara sia. Questi ultimi solamente, meritano di essere chiamati amici”.
Il corvo e il topo interruppero la loro conversazione, quando sentirono un cervo spaventato correre velocemente verso il lago. Non conoscendo l’origine dello scalpiccio, il corvo volò sul ramo di un albero, il topo si rifugiò nella sua tana e la tartaruga si nascose sott’acqua. Dall’alto d’albero, il corvo poteva ora vedere il cervo chiaramente e disse ai suoi altri amici, “Amici, è solo un cervo che ha sete. Questi rumori di passi non sono quelli di un uomo “.
La tartaruga rispose: “Il cervo è ansimante. Sembra che qualcuno lo stia inseguendo. Egli non è venuto per placare la sua sete. Sicuramente, qualche cacciatore arriverà dopo di lui. Per favore, vai in ancora più su, in cima all’albero, e guarda se è possibile scorgere qualche cacciatore“.
Assicuratosi che quelli erano solo amici, il cervo, di nome Chitranga, disse: “Amico, hai indovinato. Sono sfuggito alla freccia di un cacciatore e sono arrivato fin qui con difficoltà. Sono in cerca di un rifugio che il cacciatore non può raggiungere. Vi prego di mostrarmi un luogo sicuro, per salvarmi dal cacciatore“.
Mandharaka, la tartaruga, rispose: “Le Scritture hanno menzionato due modi di sfuggire al pericolo. Uno è quello di usare la propria potenza muscolare e un altro è di correre più veloce che puoi. Ora, corri nella foresta prima che il cacciatore possa arrivare“.
“Non è necessario“, interloqui Laghupatanaka, il corvo. “Ho visto i cacciatori mentre catturavano molte prede e andarsene da dove sono venuti. O Mandharaka, ora puoi venire fuori dall’acqua“.
Con Chitranga, il cervo, ora gli amici erano diventati quattro e trascorrevano felicemente il tempo in reciproca compagnia. I saggi hanno detto, che quando hai una grande quantità di cordiale colloquio, per essere felici non c’è bisogno di nient’altro. Colui, che non ha un magazzino di buone parole non è capace di pronunciarle.
Un giorno, Chitranga non era arrivato, quando gli altri tre si erano radunati in riva al lago, per le loro discussioni quotidiane. Essi pensarono, “Povero Chitranga non ha fatto tanta strada. E’ possibile che un leone o un cacciatore lo abbiano ucciso? Oppure, è possibile che egli sia caduto in un pozzo?” I benintenzionati, naturalmente sospettano il peggio quando i loro vicini e cari non si vedono per un po’.
Mandharaka disse al corvo, “Amico, sai che nè Hiranyaka, né io possiamo muoverci velocemente. Tu solo puoi volare e vedere più cose di quanto possiamo noi. Ti prego di andare immediatamente e scoprire che cosa sta succedendo al nostro amico“.
Il corvo non dovette volare troppo a lungo, prima di vedere Chitranga intrappolato nella rete di un cacciatore, nei pressi di un piccolo stagno. vedendo questa situazione, il corvo chiese: “Amico, che cosa ti è successo?” Cercando di controllare le lacrime agli occhi, il cervo rispose, “La morte mi sta inseguendo. E’ bene che tu sia venuto a cercarmi“.
“Amico, non perdere il coraggio quando ci siamo noi. Io torno indietro e porto qui Hiranyaka”, disse Laghupatanaka e volò via veloce. Il topo e la tartaruga erano stati in trepidante attesa per lui, quando giunse e raccontò loro cosa era successo al cervo. Nel sentire il suo racconto, Hiranyaka subito decise che doveva andare a mordere le corde della rete del cacciatore.
Salì sul corvo e insieme, volarono verso il punto in cui il cervo giaceva, impotente, nella rete del cacciatore. Quando il cervo vide i suoi amici correre in suo aiuto, si rese conto di quanto fosse necessario ottenere buoni amici e di come nessuno può superare le avversità senza l’aiuto dei buoni amici.
Hiranyaka chiese al cervo, “Come hai fatto, un essere così saggio, cadere in questo buco?” Il cervo rispose: “Amico, questo non è il momento per un dibattito. Il cacciatore può venire in qualsiasi momento. In primo luogo, fammi uscire da questa rete“. Il topo si mise a ridere e disse:” Perché hai paura del cacciatore quando sono qui io? Ma dimmi come ti sei lasciato intrappolare in questo modo?“
Il cervo rispose: “Amico, quando la fortuna non è con noi, si perde il discernimento. Come dicono gli anziani, quando la morte è in agguato e quando la malvagità vi supera, anche i vostri pensieri prendono un percorso tortuoso. Nessuno si può salvare da ciò che Dio ha in serbo noi“.
Mentre stavano discutendo il loro piano di fuga, Laghupatanaka e Hiranyaka videro che stava arrivando anche la tartaruga. Il corvo disse: “Guarda, questo ragazzo lento di zampe è in arrivo. Non siamo in grado di salvare né il cervo né noi stessi. Vedi la stoltezza di questo tizio. Se il cacciatore viene, io posso volare via e tu puoi battere una ritirata velocemente. Ma come può fuggire questa tartaruga?“
Il cacciatore arrivò, proprio mentre stavano discutendo su questo punto. Il topo riuscì, con un lavoro veloce, a rosicchiare le corde della rete e il cervo si precipitò nella fitta foresta, mentre il topo scompariva nel foro più vicino. La povera tartaruga, invece, stava lentamente arrancando verso la strada per la sua salvezza. Il cacciatore la vide e afferratala, la legò al suo arco, che si gettò sulla spalla; dopo di che, cominciò ad avviarsi verso a casa.
Hiranyaka vide ciò da lontano e iniziò a riflettere, “I problemi non arrivano mai da soli. Ho già perso tutto quello che avevo. Ho perso i miei parenti e il mio seguito. Ora, anche questa perdita di un grande amico! Ci avviciniamo gli uni agli altri solo per separarci. In questo mondo tutto è temporaneo. Eppure, sono grato a Dio, perché ha creato questa dolce relazione che chiamiamo amicizia“.
Nel frattempo, il cervo e il corvo arrivarono, disturbando le fantasticherie del topo. Ripresosi, Hiranyaka disse: “Cerchiamo di non rimuginare sul passato. Prima dobbiamo cercare un modo per salvare la tartaruga.” Il corvo replicò: “Ascoltate, e fate come dico. Chitranga andrà presso un piccolo lago che si trova lungo la strada che porta il cacciatore verso casa. Egli dovrebbe far finta di essere morto, mentre io siederò sulla sua testa, facendo finta di beccarlo. Vedendo il cervo immobile, il cacciatore dovrà posare a terra la tartaruga per raggiungere il cervo. Hiranyaka, allora, dovrebbe immediatamente avvicinarsi alla tartaruga e rosicchiare le corde che la legano all’arco“.
“Va bene, faremo come dici tu, “dissero il topo e il cervo. Fu così che i tre amici si prepararono a realizzare il piano. Giunto presso il laghetto, il cacciatore, vedendo il cervo immobile, pensò che fosse morto. Lasciata la tartaruga a terra, si allontanò alla volta del cervo. Il cervo in un attimo corse lontano, mentre il corvo volava via. Dall’altra parte, il topo tagliò le corde che legavano la tartaruga all’arco. La tartaruga potè così entrare nell’acqua del laghetto, mentre il topo correva verso il suo buco.
Deluso per la fuga del cervo, il cacciatore tornò dove aveva deposto la tartaruga. Quando scoprì, che anche la tartaruga era fuggita, pianse amaramente e andò a casa. Dopo essersi assicurati di essere lontani dalla portata del cacciatore, i quattro amici si riunirono e festeggiarono il loro ricongiungimento.
Concludendo il suo discorso di prima, Hiranyaka sentenziò, “E’ una lezione per tutti gli esseri viventi, sul valore dell’amicizia. Non si dovrebbe cercare di imbrogliare gli amici. Gli anziani hanno detto, che chi è fedele ai suoi amici non gusterà mai la sconfitta“.
Arriviamo così, alla fine della seconda parte del Panchatantra chiamato Guadagnare Amici.