LA STORIA DI SAKUNTALA
Tradotta dal
Mahabharata -Sambhava Parva-
(Dopo avere ascoltato la narrazione e la descrizione dettagliata di come i deva, i demoni, con i Gandharva e le Apsara, erano discesi sulla Terra)
Janamejaya disse: “Desidero ascoltare da te la storia della nascita e della vita della grande anima Bharata e delle origini di Sakuntala. Ed inoltre, o grande erudito, vorrei che raccontassi tutto di Dushyanta (o Dushmanta -ndt-), questo leone tra gli uomini, e di come tale eroe ottenne l’amore di Sakuntala.
Ti prego, o conoscitore della verità e primo tra tutti gli uomini di grande saggezza, raccontami ogni cosa.
Vaisampayana cominciò: “Una volta, tempo fa, il re Dushyanta dalle forti braccia, seguito da un numeroso esercito, decise di recarsi nelle foreste a ristabilire l’ordine e l’equilibrio anche in quei luoghi, così com’è dovere di un bravo e giusto monarca. Egli portava seco centinaia di cavalli ed elefanti. L’esercito che accompagnava il sovrano era infatti composto da truppe di quattro tipi, soldati a piedi, guerrieri sui carri, a cavallo ed elefanti; eroi armati di spade, archi e frecce, mentre altri brandivano nelle loro mani mazze e lance. Con al seguito un così possente esercito, il re si stava apprestando a questa impresa.
Con il ruggito da leoni di questi guerrieri, che si aggiungeva al tumultuoso suono delle conchiglie, al rullare dei tamburi, allo sferragliare delle ruote dei carri, al barrire degli elefanti da battaglia, al nobile nitrire dei cavalli da combattimento, alle conversazioni eccitate degli uomini e ai rumori secchi e fragorosi delle armi, un festoso tumulto si levava ovunque mentre il sovrano, con il suo seguito, procedeva nella sua marcia. Dalle terrazze dei loro bei palazzi, le signore ammiravano quel sovrano eroico le cui gesta gli avevano procurato tanta gloria. Egli appariva loro come Indra, capace di sconfiggere qualsiasi nemico, come di immobilizzare perfino i possenti elefanti in corsa. Egli appariva loro come se fosse il detentore del fulmine stesso e si dicevano l’una con l’altra: <Questo monarca è come una tigre fra gli uomini, il suo coraggio in battaglia è sorprendente. Coloro che oseranno anche solo pensare di farci del male si scontreranno con la forza delle sue braccia e cesseranno di esistere>. Così parlando, le donne lodavano il re con affetto e facevano cadere piogge di fiori sulla sua testa. Seguito da molti brahmana eruditi che lo glorificavano e benedicevano, il re, con grande gioia nel cuore, si avviò verso la foresta per la partita di caccia. In molti, Brahmana, Kshatriya, Vaisya, e Sudra, lo seguirono a lungo. Egli sembrava il signore degli esseri celesti seduto sulla schiena di un nobile elefante. Alfine, prima di addentrarsi tra i boschi, egli salutò i suoi sudditi congedandoli ed essi tornarono alle loro case e faccende.
Ciò fatto, egli sfrecciò poi a gran velocità verso l’interno della foresta, riempiendo tutta la terra e perfino il cielo, con il rumore delle ruote del suo carro.
Dushyanta raggiunse così una foresta che somigliava ai boschi Nandana dei pianeti paradisiaci, ricca di meravigliosi cespugli di arka, bilva e di alberi khadira, fitta di piante dai frutti squisiti come kapittha e dhava. Era una foresta molto vasta, con alcuni altipiani che si estendevano per molte decine di chilometri sovrastando un terreno scosceso e roccioso.
Mentre non vi erano tracce di uomini e di acque, la foresta era piena di cervi e di molti animali selvatici tra i quali molti anche pericolosi. Con i suoi servitori, con i soldati e con gli animali al seguito, Dushyanta, simile ad una tigre, iniziò a sconvolgere la pace di quei boschi uccidendo molte bestie feroci. Abbattè un gran numero di tigri, che via via si trovarono alla portata di tiro del suo arco e che caddero trafitte dalle sue frecce mortali. Ma abbattè anche altri animali feroci colpendoli a distanza con le frecce, mentre le belve che gli si avventavano contro le uccideva con un sol colpo della pesante spada ed infilzò inoltre, con la lancia, alcune grandi antilopi. Esperto nel far roteare la mazza in combattimento egli si muoveva per la foresta animato da smisurato coraggio. Con giavellotti, frecce, mazze, clavi e lance, andava uccidendo gli animali feroci della foresta e uccelli predatori aiutato dai suoi uomini, guerrieri ben addestrati al combattimento. Quando la foresta fu interamente percorsa dal re così meravigliosamente forte, i leoni superstiti la abbandonarono in gran numero e branchi di animali privati dei capi, lamentandosi senza sosta, si allontanavano fuggendo in ogni direzione e già indeboliti per la fuga e per la mancanza d’acqua essendo i fiumi in secca, spesso crollavano inermi. Molti di questi animali, così caduti, furono mangiati dai guerrieri affamati. Alcuni di loro furono mangiati addirittura crudi, mentre altri furono fatti a pezzi e le loro carni cucinate col fuoco. Alcuni possenti elefanti selvatici, impazziti per le ferite ricevute, con la proboscide arrotolata, fuggivano veloci in preda alla paura e nella fuga, calpestarono un gran numero di guerrieri.
La foresta così tanto popolata di animali, era stata in tal modo, dal re e dai suoi accompagnatori, liberata da leoni, tigri ed altri animali selvaggi e pericolosi, sì da ristabilirne il giusto equilibrio”.
Vaisampayana continuò: “Allora il re con il suo seguito, dopo aver reso sicuro quel posto, si avventurò verso un altro bosco per continuare la caccia. Ma sul limitare della foresta, con al seguito la truppa ed estenuato dalla fame e dalla sete, si trovò di fronte un grande deserto. Una volta che lo ebbe attraversato, il re giunse ai margini di una nuova foresta che ospitava eremi di asceti; meravigliosa da vedere, delizia per il cuore, era resa ancora più piacevole da una fresca brezza.
Tutt’intorno era pieno di alberi ricolmi di fiori, mentre il suolo era ricoperto con l’erba più verde e più morbida che si possa immaginare; essa si estendeva per molte miglia e tutt’intorno facevano eco le note dolci delle capinere che si libravano in volo, in melodioso accordo con il maschio Kokila e la stridula cicala.
Circondavano quella vasta terra boschiva alberi secolari i cui lunghi rami donavano ombra rinfrescante. Sui cespugli fioriti ronzavano indaffarati i calabroni a sei zampe e una squisita bellezza permeava tutto l’ambiente. In questa foresta non c’era un solo albero che non desse frutti o fiori, non una pianta che avesse spine, nessuna che non fosse invasa da gioiosi calabroni. I fiori sbocciavano sugli alberi senza mai appassire ed i prati erano grandi, verdi e rigogliosi. E l’intera foresta risuonava delle melodie degli uccelli cinguettanti. Ed i prati erano ricoperti dai fiori più profumati, mentre vi erano freschi ripari all’ombra delle chiome degli alberi.
Così, meravigliosa, deliziosa ed incantevole, era la foresta che accolse il grande arciere.
Il vento gentile agitava soavemente i rami degli alberi fioriti che in tal modo ripetutamente facevano cadere una pioggia di fiori profumati sulla testa del re come ad omaggiarlo. Quegli alberi ornati di fiori variopinti, vibravano al dolce e melodioso canto degli uccelli svettando verso il cielo con gioia. Fra i loro rami, leggermente i piegati dal peso dei fiori sbocciati, gli uccelli cinguettavano allegramente e le api lasciavano sentire un dolce ronzio.
Il potente re contemplava la delicata arte della foresta, per ogni dove adorna di cascate di fiori che si intrecciavano con piante rampicanti avviluppantesi come capanne naturali: una vera delizia per lo spirito. Vedendo tutto ciò, il re si sentì leggero e felice.
Il luogo era incantevole anche grazie ad alcuni alberi i cui rami fioriti, intrecciati tra loro come a rincorrersi, formavano tanti arcobaleni splendenti per la lucentezza e la varietà di colore. Era la dimora dei Siddha, dei Charana, dei Gandharva e Apsara, di scimmie e Kinnara pieni di ebbrezza per tanta delizia. La brezza, dolce e fragrante, trasmettendo il profumo dei fiori freschi, soffiava in tutte le direzioni, come se fosse venuta lì per giocare con gli alberi. Ed il re era meravigliato da questa foresta così incantevole e dotata di tali bellezze. Essa era situata in un delta del fiume e le chiome degli alberi imponenti donavano al luogo l’aspetto di un tempio sgargiante eretto in onore di Indra.
In quella foresta sempre rallegrata dal felice cinguettio di uccelli, il monarca vide, circondato da molti alberi, un rifugio di asceti piacevole ed affascinante con il fuoco sacro che ardeva all’interno di esso. Il re adorò questo santo ritiro dove risiedevano saggi ed esseri celesti e che era stato ornato con molti antri contenenti fuoco sacrificale. Qui i fiori caduti dagli alberi avevano formato una spessa coltre come un soffice e profumato tappeto. E la scena appariva straordinariamente bella con quegli alberi ad alto fusto dai tronchi di grandi dimensioni posti come ad anfiteatro.
Proprio lì fluivano le acque del puro e trasparente Malini con ogni specie di uccelli acquatici che giocavano in quei flutti che donano gioia nei cuori degli asceti che ne fanno uso per le sacre abluzioni. Il re vide sulle sponde del fiume molti animali innocenti e pacifici, come cervi ed altre specie, e fu molto contento di tutto quello che lo circondava.
Dushyanta, la corsa del cui carro nessun nemico potè mai ostacolare, entrò quindi nell’eremo che era simile alle regioni celestiali essendo molto bello in tutto. Il re notò di trovarsi sul margine del fiume sacro, che era come la madre di tutte le creature viventi residenti nelle sue vicinanze. E sulla sponda giocava l’uccello Chakravaka e si infrangevano onde spumeggianti colore del latte. E c’erano anche le dimore dei Kinnara e c’erano poi scimmie ed orsi intenti a divertirsi pacificamente.
Vi si potevano anche osservare elefanti, tigri e serpenti. E questa era la dimora dei santi asceti impegnati in studi e meditazione.
Era sulla riva di questa sponda che si trovava l’eccellente ashram dell’illustre Kasyapa che offriva un rifugio a numerosi Rishi di grande pregio ascetico.
Vedendo quel fiume costellato di numerose isole e che possedeva rive di tanta bellezza, ed anche l’eremo che ne veniva lambito – un luogo simile a quello di Nara e Narayana bagnato dalle acque del Gange – il re si era deciso ad entrare in quella dimora sacra. E quel toro fra gli uomini, desideroso di conoscere il Rishi di grande ricchezza ascetica, l’illustre Kanwa della stirpe di Kasyapa, che possiede tutte le virtù e che, per il suo splendore, potrebbe essere guardato con difficoltà, si avvicinò a quella foresta accompagnato dalle clamorose note dei pavoni gioiosi e simile ai giardini del grande Gandharva, Chitraratha, stesso. Ciò non prima di tornare al campo per arrestare il suo esercito, composto di bandiere, cavalleria, fanteria, ed elefanti, che era ancora all’ingresso della foresta ed al quale il monarca parlò così: -Io andrò a vedere l’asceta possente di razza Kasyapa, uno che è senza tenebre. Rimanete accampati qui fino al mio ritorno!
Il re, inoltratosi nella foresta che era come il giardino Indra, presto dimenticata la fame e la sete, era felice oltre misura. Mettendo da parte tutti i segni della regalità, con la sola compagnia di un consigliere e di un sacerdote, entrò nello straordinario eremo desideroso di incontrare il Rishi così pieno di merito ascetico. E il re vide che l’asilo era simile alla regione del Brahman. Qui udì le api ronzare dolcemente e c’erano alati uccelli canori di varie specie che suonavano le loro melodie. Udì dei brahmana sapienti che cantavano con precisione il Rig Veda ed altri occupati nel corso di riti e sacrifici. Ed altri ancora, tutti impegnati in attività ascetiche.
In realtà, questo sacro ritiro che risuonava con queste sante note, era simile a un secondo pianeta di Brahman stesso. C’erano molti Brahmana abili nell’arte di predisporre piattaforme sacrificali ed esperti nelle regole del sacrificio, altri che dimostravano grande dimestichezza con la logica e le scienze dello spirito, ed in possesso di una conoscenza completa dei Veda. C’erano anche quelli che erano a perfetta conoscenza dei significati di tutti i tipi di espressioni, quelli che erano al corrente di tutti i riti speciali, c’erano anche quelli che erano seguaci del Moksha–Dharma, e ancora quelli che erano ben qualificati nella creazione di proposizioni per respingere le cause superflue e per trarre conclusioni corrette. C’erano quelli che conoscevano la scienza delle parole (grammatica), della prosa, di Nirukta; quelli che avevano dimestichezza con l’astrologia e studiavano le proprietà della materia e dei frutti dei riti sacrificali, in possesso di una conoscenza di cause ed effetti, in grado di comprendere le grida degli uccelli e scimmie, di ben leggere e memorizzare i trattati di grandi dimensioni, e qualificati in varie scienze. Ed il re, come procedeva, sentiva le loro voci che risuonavano come voci di uomini in grado di affascinare i cuori umani. E l’uccisore di eroi ostili vide intorno a lui Brahmana di rigidi voti impegnati in Japa (il ripetuto mormorio dei santi nomi del Signore) e Homa (offerta del fuoco). Egli si meravigliò molto nel vedere che questi Brahmana su bei tappeti gli offrivano omaggi e più assisteva ai riti con cui i Brahmana adoravano gli dei e i grandi Rishi, più pensava di essere nella regione del Brahman. Più il re vedeva questo auspicioso e sacro eremo di Kasyapa protetto dall’ascetica virtù del Rishi che possedeva tutti i requisiti di un santo luogo, più desiderava incontrarlo.
In realtà, non era ancora soddisfatto della sua breve visita, finchè, l’uccisore di eroi, non fu finalmente accompagnato, col suo ministro e col suo sacerdote, dentro il ritiro affascinante e sacro di Kasyapa abitato dal Rishi di così grande ricchezza ascetica”.
Vaisampayana continuò il racconto: “Il monarca allora, procedendo dopo avere lasciato anche il suo ridotto seguito, si trovò all’ingresso dell’ashram. Accostatosi all’uscio egli non vide il Rishi (Kanwa) dai rigidi voti, e non vedendolo, constatando che la dimora era vuota, gridò a gran voce dicendo: -Ehi, c’è qualcuno qui?- E il suono della sua voce rimbalzò indietro con gran eco. Avendolo sentito, venne fuori dalla dimora del Rishi una bella fanciulla come Sri stessa, ma vestita come la figlia di un asceta.
La fanciulla dagli splendidi occhi neri, quando vide il re Dushmanta, gli diede il benvenuto e lo ricevette debitamente. Gli dimostrò il dovuto rispetto con l’offerta di un sedile, di acqua per lavarsi i piedi, e gli diede da bere e del cibo. Si informò gentilmente circa la sua salute e se fosse comodo e riposato. Dopo aver così omaggiato il re ed essersi accertata di averlo messo a suo agio, la fanciulla con estremo rispetto chiese: –Che cosa posso ancora fare per Voi, o sire! Attendo di potere esaudire i Vostri desideri- Il re, debitamente accolto e soddisfatto, disse alla fanciulla con parole dolci e gentili: – Io sono venuto per adorare l’altamente benedetto saggio Kanwa. Dimmi, o amabile e bella fanciulla, dove è andato l’illustre Rishi ?
Sakuntala allora rispose: -Il mio illustre padre è dovuto andare via dall’eremo alla ricerca di frutti. Ma se attendete, tra non molto, lo potrete incontrare al suo rientro”.
Vaisampayana continuò: “Il re, non vedendo il saggio e appreso quanto la fanciulla gli aveva detto, soffermò su di essa la sua attenzione e notò come fosse molto bella e di forme perfette.
E vide che aveva un dolcissimo sorriso e che era addobbata con la bellezza dei suoi tratti di impeccabile simmetria, i risultati delle penitenze ascetiche e con la sua umiltà. E vide che era nel fiore della gioventù. Egli quindi le chiese: -Chi sei tu? E di chi sei la figlia, o deliziosa fanciulla? Perché anche tu vivi in questo bosco? O meravigliosa creatura, dotata di tanta bellezza e virtù, da dove vieni? O docissima fanciulla, al primo sguardo tu hai rubato il mio cuore! Desidero sapere ogni cosa su di te. Perciò, ti prego, dimmi tutto.
La fanciulla, così interrogata dal re, sorridendo soavemente rispose con queste dolci parole: -O Dushmanta, io sono la figlia del virtuoso, saggio, magnanimo, ed illustre asceta Kanwa.
Dushmanta, udito ciò, disse: – II santo e universalmente benedetto Kanwa pratica uno stretto celibato e per questo il mondo intero lo adora. Dharma stesso potrebbe deviare dai suoi principi religiosi, ma non questo saggio dai voti rigorosi. Com’è quindi possibile che tu sia sua figlia, affascinante creatura dalla bella carnagione? Ti prego, dissipa questo mio dubbio.
Sakuntala allora replicò: – Ascolta, o re, quello che ho appreso su ciò che accadde riguardo alla mia nascita e di come sono diventata la figlia del Muni.
Una volta, molto tempo fa, un Rishi è venuto qui e ha chiesto della mia nascita. Tutto ciò che l’illustre (Kanwa) gli disse, lo potrai sentire ora da me, o re!
Mio padre Kanwa, in risposta alle richieste che gli pose il Rishi, gli narrò la seguente storia:
“Viswamitra, essendo stato impegnato a lungo in austere penitenze, aveva preoccupato Indra, il capo degli esseri celesti, che temeva che l’asceta, con la sua ardente energia e potenza, ottenuta da un così elevato tenore di vita, lo potesse scacciare dal suo trono alto nei cieli. Indra, quindi, così allarmato, aveva convocato Menaka dicendole: “Tu, o Menaka, che sei la prima delle Apsaras celesti e la più bella. O amabile creatura celeste, ti prego, fammi un grande favore. Ascolta ciò che ho da dirti. Viswamitra, questo grande asceta simile al Sole nel suo splendore, è impegnato nella più greve delle penitenze. Il mio cuore trema di paura. Quindi, o Menaka dalla vita snella, questo dovrà essere il tuo compito. Devi assicurarti che Viswamitra, con l’anima rapita in contemplazione e impegnato nella più austera delle penitenze, che potrebbe usurpare il mio posto, cessi anche per un attimo tale impegno. Vai e tentalo frustrando le sue continue austerità per il mio bene. Usa la tua bellezza, la tua giovinezza, i flessuosi movimenti del tuo corpo, il tuo radioso sorriso e la tua eloquenza”. Ascoltata questa richiesta, Menaka rispose, “L’illustre Viswamitra è forte ed ha grande energia ed è un asceta possente. Egli è molto irascibile, come ti è noto. La sua energia, le penitenze, e l’ira di quella grande anima hanno reso anche te ansioso. Perché non dovrei essere ansiosa io stessa? Fu lui a fare sopportare anche all‘illustre Vasishtha il dolore per la morte prematura di suoi figli.
Fu lui che, anche se in un primo momento nacque come Kshatriya, successivamente divenne un brahmana in virtù della sua penitenze ascetiche. Fu lui che, per le sue abluzioni, ha creato un fiume profondo che può essere guadato a fatica, e che come fiume sacro è conosciuto con il nome di Kausiki. E’ stato Viswamitra la cui moglie, in una stagione di sofferenza, è stata mantenuta dal saggio Matanga reale (Trisanku), che all’epoca viveva per una maledizione come un cacciatore. Ed è stato Viswamitra che, di ritorno dopo che la carestia era finita, ha cambiato il nome del fiume presso il suo ashram da Kausik in Para. E’ stato Viswamitra che in cambio dei servizi di Matanga, è divenuto lui stesso sacerdote di quest’ultimo ai fini di un sacrificio ed il signore degli esseri celesti stesso ebbe paura di bere il succo di Soma. E’ stato Viswamitra che in collera ha creato un secondo mondo e numerose stelle che iniziano con Sravana. Fu lui a garantire una protezione per Trisanku bruciante sotto una superiore maledizione. Ho paura di accostarmi a lui a causa di questi atti. Dimmi, o Indra, quali strumenti dovrei adottate in modo da non essere arsa dalla sua ira. Può bruciare i tre mondi per il suo splendore, può, solo battendo un piede, causare un terremoto. Egli può staccare il grande Meru dalla terra e scagliarlo a qualsiasi distanza. Egli può raggiungere i dieci punti della terra in un solo attimo.
Come può una donna come me solo toccare uno così pieno di virtù ascetiche, simile ad un fuoco ardente, ed ottenere il completo controllo delle sue passioni? La sua bocca è come un fuoco ardente; le sue pupille sono come il sole e la luna; la sua lingua come lo stesso Yama. Come può, O re degli esseri celesti, una donna come me solamente toccarlo? Il signore della morte, il deva della Luna, i grandi saggi ed i Sadhya, i Vishvedeva, i Valakhilya, tutte le creature temono il suo potere. Come può, dunque, una giovane donna come me avvicinarlo senza insospettirlo? D’altro canto, signore dei deva, come posso non andare da lui ora che me lo hai chiesto?
Però, O capo degli dei, dovrai escogitare qualche piano per proteggermi, in modo che possa tranquillamente recarmi da questo Rishi. Penso che quando comincerò a giocare davanti al Rishi, Marut (il dio del vento) farebbe bene ad accompagnarmi e con un soffio privarmi del mio vestito, e Manmatha (il dio dell’amore), al tuo comando, potrebbe anche lui aiutarmi in quel momento. Che lasci Marut su quel luogo anche qualche fragranza per creare l’occasione di tentare il Rishi nel bosco”. Detto questo e visto che tutto quello che aveva richiesto era stato debitamente fornito, Menaka si recò verso il ritiro del grande Kausika.
-Kanwa- proseguì Sakuntala -Aveva continuato a raccontare come Indra comandò a colui che si può inserire ovunque, il dio del vento, di accompagnarla fino a che si fosse travata di fronte al grande saggio. Fu così che la timida e bellissima Menaka giunse nel luogo dove stava il saggio e lì vide Viswamitra che aveva bruciato, con le proprie penitenze, tutti i suoi peccati, ed era ancora impegnato nel ritiro ascetico. Avendogli reso i propri omaggi ella iniziò a danzare di fronte a lui. E proprio in quel momento, avvolgendola in una leggera brezza, Marut la derubò dei suoi indumenti che erano bianchi come la Luna. E allora lei cominciò a muoversi, come se fosse in grande imbarazzo, per riprendere possesso dei sui abiti e come se fosse oltremodo seccata col vento. E fece tutto questo sotto gli occhi di Viswamitra che erano rivestiti di energia, come quella del fuoco. E Viswamitra la vide in questo atteggiamento. E vedendola senza le sue vesti ne potè apprezzare la grazia e la perfezione della figura. Ed il migliore tra i Muni vide che era estremamente bella, senza segni di età sull’intera sua persona. E vedendo tutta quella bellezza dimenticò le realizzazioni e cedette come un toro posseduto dalla lussuria e le fece quindi capire che desiderava la sua compagnia. Di conseguenza la invitò e lei accettò di buona grazia l’invito. Trascorsero quindi assieme un lungo periodo in reciproca compagnia. E si dilettarono l’una con l’altro, presi dai reciproci desideri, a lungo, anche se a loro sembrò un solo giorno. Dalla loro unione, tra il Rishi e Menaka, nacque una figlia alla quale fu poi dato il nome di Sakuntala. Menaka, come fu in avanzata fase di concepimento, giunse alle rive del fiume Malini che scorre lungo una valle delle belle montagne di Himavat. Lì diede alla luce questa figlia che abbandonò, neonata, sulle sponde del fiume. Vedendo la neonata che giaceva in quella foresta priva di esseri umani, ma ricca di leoni e tigri, alcuni avvoltoi la vegliarono, seduti intorno a lei per proteggerla dal male. Nessun Rakshasa o animali carnivori presero la sua vita grazie a quegli avvoltoi che protessero la figlia di Menaka. “Andai lì per svolgere le mie abluzioni e trovai la bambina che giaceva nella selvaggia circondata solo da avvoltoi. La portai qui ed essa divenne mia figlia. Infatti, il creatore del corpo, il protettore della vita, colui che fa crescere, secondo le Scritture, sono tutti e tre i padri in questo ordine. E poichè era circondata nella solitudine della natura selvaggia da Sakuntas (uccelli), pertanto è stata nominata da me Sakuntala (protetta dagli uccelli). O Brahman, è così che Sakuntala divenne mia figlia. E l’impeccabile Sakuntala è amata da me perchè ne sono il padre”.
-Ciò, concluse Sakuntala – è quanto mio padre raccontò a quel saggio e che, in quell’occasione, ho ascoltato direttamente da lui. O re degli uomini, è in tale modo che so di essere la figlia di Kanwa. E non conoscendo il mio vero padre, io considero Kanwa come mio padre. Così ho ripetuto a te, o re, tutto ciò che è stato sentito da me per quanto riguarda la mia nascita”.
Vaisampayana continuò: “Il re Dushyanta, ascoltato il racconto di Sakuntala disse: -Ben raccontato, o principessa, ciò è tutto quanto doveva essere detto! Sii mia moglie, più bella fra tutte! Cosa posso offrirti? Ghirlande d’oro, abiti, orecchini d’oro, bianche e belle perle provenienti da vari paesi, monete d’oro, i migliori tappeti, io te li regalerò oggi e per sempre. Lascia che tutto il mio regno sia tuo oggi, o mia leggiadra! Vieni con me, o purissima, sposami, o mia dolcissima, secondo la forma Gandharva. O tu, di cosce affusolate, di tutte le forme di matrimonio il Gandharva è considerato come il primo.
Sakuntala, ascoltato ciò, rispose: – O re, mio padre ha lasciato l’ashram in cerca di frutta. Aspetta un poco, abbi pazienza, al suo ritorno egli darà il suo consenso e mi concederà a te in sposa.
Dushmanta: – O bella di impeccabile purezza, io desidero che tu diventi la compagna della mia vita. Sappi che io esisto per te, ed il mio cuore è in te. Ognuno deve essere sincero con se stesso se vuole essere onesto e ciascuno è responsabile delle proprie azioni e quindi tu puoi dare te stessa e di conseguenza, in accordo con le usanze, è giusto che ci uniamo. Vengono riconosciuti otto tipi di matrimonio che sono il Brahma, il Daiva, l’Arsha, il Prajapatya, l’Asura, il Gandharva, il Rakshasa ed in ultimo il Paishaca, l’ottavo. Manu, figlio di Brahma, ha descritto le caratteristiche di queste forme di matrimonio ed ha stabilito che le prime quattro sono raccomandate per i brahmana. Devi anche sapere che le prime sei sono considerate adatte per coloro che sono di rango reale, innocente fanciulla. Per i re è approvato anche il matrimonio Rakshasa, mentre il matrimonio Asura è autorizzato per i vaishya e per i sudra. Fra i cinque, tre sono propri e due impropri. I matrimoni Paishaca ed Asura non devono mai essere praticati da coloro che sono di rango reale. E’ seguendo queste regole che noi conosciamo il nostro dovere e sappiamo come si pratica la virtù. Ti prego, non devi preoccuparti. Ti assicuro che per i re i matrimoni Rakshasa e quelli Gandharva sono in perfetto accordo con i principi religiosi. Separatamente o insieme, si possono eseguire entrambe le forme di matrimonio. Non ci sono dubbi su questo. Mia amabile signora, ti desidero e anche tu mi desideri. Adesso, con tua libera scelta, ti prego di diventare mia moglie con il matrimonio Gandharva.
Sakuntala, dopo aver ascoltato tutto questo, rispose: -Se questo è quanto previsto dalla religione, se, in effetti, io posso disporre di me stessa secondo il mio proprio sentire, ascolta, o tu che discendi dai Puru, quali sono le mie condizioni. Promettimi sinceramente di darmi ciò che ti chiedo. Il figlio che verrà generato diventerà tuo erede. Questa, o re, è la mia ferma decisione ed unica condizione. O Dushmanta, se tu mi concederai questo, allora la nostra unione potrà avere luogo”.
Vaisampayana continuò: “Il monarca, senza esitazione, subito le rispose: – Lascia che sia così. Io ti porterò, o tu di piacevole sorriso, con me nella capitale. Lo dico sinceramente, o bella, tu meriti tutto questo e anche di più. E così dicendo, il primo fra i re, sposò la bella Sakuntala di portamento aggraziato e divenne così suo marito. Poi, confermato il suo debito, se ne andò, dicendole ripetutamente – Io ti invierò, come scorta per te, le mie truppe di quattro classi. Infatti, è proprio così che io ti manderò a prendere affinchè tu venga a vivere con me nella capitale del mio regno, o Sakuntala dal dolce sorriso!- “ Ascolta
Trascrizione fonetica
Vaisampayana continuò: “O Janamejaya, dopo averle fatto queste promesse, il re partì e affrontò la strada per tornare alla capitale del regno. Lungo la strada cominciò a pensare a Kasyapa chiedendosi cosa l’illustre asceta avrebbe detto una volta appreso del matrimonio tra lui e Sakuntala. Meditando su questo quesito entrò, dopo il lungo viaggio, nella capitale.
Poco tempo dopo che Dushyanta ebbe lasciato l’eremo, tornò Kanwa. Shakuntala, intimidita ed imbarazzata, non andò a riceverlo; ma per via delle sue grandi ascesi Kanwa possedeva una conoscenza divina e quindi sapeva tutto ciò che lei aveva fatto. E quindi grazie alla pura visione spirituale l’illustre saggio si compiacque dell’accaduto ed andò incontro alla figlia dicendole: – Mia cara, ciò che è accaduto oggi in segreto, senza avermi aspettato, ossia l’incontro con un uomo, non ha intaccato la tua virtù. Infatti, l’unione in accordo con il rito Gandharva di una donna e di un uomo che si desiderano, senza la recita di un qualsiasi tipo di mantra, si dice sia perfetto per gli Ksatriya. Quell’uomo senza macchia, Dushyanta, è inoltre una grande anima ed è molto virtuoso. Tu, o Sakuntala, lo hai accettato come marito ed il figlio che nascerà sarà potente ed illustre in tutto il mondo. Egli padroneggerà i mari e le forze di tale illustre re dei re saranno irresistibili.
Sakuntala allora si avvicinò al padre, stanco per il lungo cammino e gli lavò i piedi dopo avere posato e messo in ordine i frutti che egli aveva portato. Dopo averlo fatto riposare gli disse: -Ti prego di benedire Dushmanta che ho scelto come marito ed anche i suoi ministri!
Kanwa rispose: – O tu dalla più bella carnagione, siccome ti voglio bene sono propenso a benedirlo. Ma accetta da me, o benedetta, anche il dono che tu più desideri”.
Vaisampayana continuò: “Sakuntala, allora, mossa dal desiderio di beneficiare Dushmanta, chiese la grazia che i monarchi Paurava fossero sempre virtuosi e non potessero mai essere privati dei loro troni”.
Vaisampayana disse: ” Passato del tempo da quando il Re Dushyanta ebbe lasciato l’ashram ed aveva pronunciato quelle solenni e precise promesse all’amata Sakuntala, questa partorì un bambino di straordinaria energia. Quando il bimbo ebbe tre anni assunse lo splendore del fuoco ardente e, o Janajaya, egli possedeva straordinaria bellezza, magnanimità e ogni perfetta realizzazione. Il saggio Kanwa officiò personalmente i riti religiosi nel rispetto di quel bambino molto intelligente che fioriva di giorno in giorno. Il ragazzo era dotato di denti perlacei e mascelle forti, capaci di uccidere, nonostante la tenera età, i leoni; aveva tutti i segni di buon auspicio sul palmo della mano, la fronte ampia e larga, cresceva in bellezza e forza. Simile ad una creatura dei pianeti celesti, continuava a svilupparsi rapidamente. All’età di sei anni era dotato di grande forza ed iniziò a catturare tigri, leoni, cinghiali selvatici, elefanti e bufali, che legava agli alberi intorno all’ eremo di Kanva. Amava poi salire loro in groppa, divertendosi a domarli e a correr loro intorno. Perciò gli abitanti dell’eremo di Kanva gli dettero un nome e dissero che, poichè era capace di sottomettere con la sua abilità, energia e forza qualunque essere, lo avrebbero chiamato Sarvadamana, ossia il domatore di tutti. Un giorno, osservando il bambino e conoscendo le sue straordinarie imprese, il santo Kanwa disse a Shakuntala che era giunto il momento che il ragazzo fosse riconosciuto come l’erede del re. Viste le capacità del ragazzo, Kanwa apostrofò i suoi discepoli dicendo: – Bisogna trasferire senza indugio Sakuntala, con suo figlio, da questa dimora a quella del marito e che siano benedetti con ogni segno di buon auspicio. Le donne non dovrebbero vivere a lungo nelle case dei genitori. Una simile convivenza è negativa per la loro reputazione, la loro buona condotta, la loro virtù. Pertanto non prolunghiamo oltre questa situazione- I discepoli del Rishi allora risposero dicendo: –Così sia– E si avviarono verso la città che prende il nome di un elefante (Hastinapura) al seguito di Sakuntala e del figlio. E così, Sakuntala dai begli occhi scuri, portando con sé il ragazzo di una bellezza celeste e dotato di occhi come i petali di loto, lasciò il bosco dove era stata conosciuta e amata da Dushmanta.
Una volta giunta a corte Sakuntala, con suo figlio che era simile nello splendore al sole nascente, venne introdotta alla presenza del re. Mentre i discepoli del Rishi, che le avevano fatto da scorta fin lì, tornarono all’ashram nella foresta.
Sakuntala, dopo avere reso i propri omaggi al re secondo la formula corretta, gli disse: -Questo è tuo figlio, o sire! Consenti che occupi il posto che gli compete per nascita. O re, questo ragazzo, di grazia celestiale, è stato generato da te per mio tramite. Perciò, o migliore degli uomini, mantieni ora la promessa che tu mi hai dato. Richiama alla mente, o maestà di grande fortuna, l’accordo che hai assunto con me in occasione della nostra unione in matrimonio nell’ashram di Kanwa.
Il re, ascoltate quelle parole e ricordando ogni cosa disse: -Io non ricordo nulla. Chi sei tu, o donna sciagurata in veste ascetica? Io non ricordo di avere avuto alcun rapporto con te in relazione al Dharma, a Kama o Artha (nè per motivi religiosi, nè per ragioni sentimentali, nè per affari). Vai o rimani, fai come meglio credi.
Così affrontata dal re, l’innocente Sakuntala arrossì è rimase attonita. Il dolore era tale da renderla come priva di coscienza, e rimase per un pò immobile come un tronco d’albero. Subito però gli occhi le divennero rossi come il rame per la collera, mentre le sue belle labbra tremavano di risentimento. Gli sguardi che lanciò al re sembravano saette pronte ad incenerirlo. La sua ira cresceva come il fuoco, ma comunque, in virtù del suo ascetismo, la spense dentro di sè seppure con uno sforzo straordinario. Raccolse i suoi pensieri in un momento e con il suo cuore posseduto da dolore e rabbia, si rivolse al suo signore con indignazione, guardandolo fisso negli occhi: -Conoscendo tutto, o monarca, come puoi tu, come fossi una persona inferiore, affermare che ciò che ho detto non è vero? Il tuo cuore è testimone della verità o della falsità di questa storia. Quindi, ammetti la verità, altrimenti degradi te stesso. Chi si presenta in modo diverso da ciò che in realtà sa di essere, è come un ladro che deruba la propria coscienza. Una simile persona quale peccato si tratterrà dal commettere? Credi che solo tu hai la conoscenza delle tue azioni. Ma tu non sai che il Signore Supremo, l’Onnisciente (Narayana) vive nel tuo cuore? Egli conosce ogni peccato, e tu hai peccato alla Sua presenza. Chi fa del male pensa che nessuno lo veda. Ma in realtà è osservato dagli dei e anche da Lui che è in ogni cuore. Il Sole, la Luna, l’Aria, il Fuoco, la Terra, il Cielo, l’Acqua, il cuore, Yama, il giorno, la notte, anche al crepuscolo, e Dharma, tutti danno testimonianza delle azioni dell’uomo. Yama, il figlio di Surya, non tiene conto dei peccati di colui che gratifica Narayana. Ma con chi Narayana non è soddisfatto, Yama non avrà pietà e costui sarà torturato per i suoi peccati. Colui che si è degraderà rappresentando falsamente la sua immagine, non avrà mai la benedizione degli dei. Anche la sua anima lo condannerà.
Io sono una moglie devota a mio marito e pertanto sono degna di essere trattata con rispetto. Forse tu non mi tratti così perché io sono venuta qui di mia iniziativa, senza attendere che mi venissi a prendere? Alla presenza di così tante persone, perché tu mi tratti come una donna comune? Non sto gridando al vento, sto parlando a te, mio marito, perché non mi ascolti? Ma se tu rifiuti di fare quello per cui ti supplico, o Dushmanta, che la tua testa in questo momento scoppi in centinaia di pezzi! Il marito che entra nel grembo della moglie, rinasce da se stesso nella forma del figlio. Per questo motivo la moglie, da coloro che conoscono i Veda, è chiamata Jaya (colei da cui uno è nato), la fonte della nascita. Ed il figlio, che è così nato da persone consapevoli dei mantra vedici, riscatta gli spiriti degli antenati defunti. E poichè gli antenati vengono salvati dal figlio dall’inferno chiamato Put, egli è stato chiamato dal Creatore col nome di Puttra (il salvatore da Put). Da un figlio si conquistano i tre mondi. Nella successione così ottenuta si godrà dell’eternità. Dal progredire nella discendenza, tutte le generazioni precedenti godranno della felicità eterna.
Una vera moglie è colei che è abile negli affari domestici. E’ una vera moglie quella che genera buoni figli. E’ una vera moglie quella che ama suo marito con tutta se stessa. E’ una vera moglie colei che non vuole altri che suo marito. La moglie è l’altra metà del suo uomo. La moglie è il migliore amico del marito. La moglie è la radice della religione, del profitto, e del desiderio.
La moglie è la radice della salvezza. Quelli che hanno una moglie in grado di eseguire atti religiosi, quelli che hanno una moglie che può condurre la vita domestica, tutti questi uomini che hanno buone mogli, hanno tutti i mezzi per essere felici. Le mogli che parlano ai loro mariti con amore sono i loro amici più cari. Sono come padri quando è il momento di osservare i doveri religiosi e sono le madri più affettuose nella tristezza e nel dolore. Anche nei luoghi più oscuri e profondi per un viaggiatore, una moglie è il momento di ristoro e conforto. Colui che ha una moglie è fonte di fiducia per tutti. Una moglie, quindi, è il bene più prezioso. Anche quando il marito se ne va lasciando questo mondo, nella regione di Yama, è la devota moglie che lo accompagna là. Una moglie, se va prima, lì attende il marito. Mentre, se il marito se ne va prima, la casta moglie lo segue presto. Per queste ragioni, o re, esiste il rito del matrimonio. Il marito gode la compagnia della moglie, sia in questo che in altri mondi. Uno è lui stesso nato come proprio figlio. Pertanto, un uomo la cui moglie ha partorito un figlio dovrebbe guardare a lei come sua madre. Contemplare il volto del figlio generato con la propria moglie è per il padre come guardare il proprio volto in uno specchio, egli si sentirà felice come un uomo virtuoso, come avesse già ottenuto il paradiso. Gli uomini virtuosi, anche se bruciano nell’angoscia mentale e nel dolore fisico, gioiscono e trovano sollievo nella compagnia delle loro mogli proprio come una persona sudata in un bagno fresco. Nessun uomo, anche nella rabbia, dovrebbe mai fare nulla che sia sgradevole a sua moglie, visto che la gioia, la felicità, e la virtù, ogni cosa dipende dalla moglie. La moglie è il campo sacro in cui il marito stesso nasce. Anche i Rishi, i grandi saggi, non possono essere creati senza le donne. Quale felicità è maggiore di quella che prova il padre quando vede il figlio correre verso di lui, anche se il suo corpo, coperto di polvere, calpesta le sue membra? Come poi trattare tu con indifferenza un tale figlio, che ti si è avvicinato e che ti lancia sguardi malinconici desiderando scalare le tue ginocchia? Anche le formiche sostengono le proprie uova senza distruggerle; allora perché non dovresti tu, un uomo virtuoso come tu sei, essere il sostegno per il tuo proprio figlio? Il tocco della morbida pasta di sandalo, di donne, di rinfrescante acqua, non è così piacevole come il tocco del proprio figlio neonato stretto in un abbraccio. Come un Bramino è il più importante di tutti i bipedi, una mucca la più importante di tutti i quadrupedi ed un tutore il più importante di tutti i superiori, così il figlio è il più importante di tutte le cose, il più piacevole contatto. Lascia, quindi, che questo bel bambino ti avvolga in un abbraccio. Non c’è nulla al mondo più piacevole al tatto che l’abbraccio del proprio figlio. O uccisore di nemici, ho fatto crescere questo bambino che è in grado di fugare tutti i tuoi dolori, o monarca, dopo averlo partorito e tenuto nel mio grembo per ben tre anni. O grande re della dinastia dei Puru, <Egli presiederà centinaia di sacrifici del cavallo > queste furono le parole proclamate dal cielo quando ero stesa nella mia stanza in attesa. Uomini che vanno in luoghi remoti, accolgono bambini altrui sui loro grembi ed accarezzano le loro teste sentendosi colmi di grande felicità. Tu che hai ascoltato i Brahmana ripetere i mantra Vedici durante i riti che consacrano l’infanzia. Tu perfezione nata, o figlio, dal mio corpo! Tu, essere generato dal mio cuore, me stessa nella forma di figlio. Viva tu più di cento anni! La mia vita dipende da te così come la continuazione della mia genìa poggia su di te, quindi, o figlio mio, che tu viva nella più grande felicità per più di cent’anni! Questo ragazzo proviene dal tuo corpo, non è diverso da te! Devi vedere in questo figlio te stesso come fosse la tua stessa immagine che si rispecchia nelle limpide acque di un lago. Come il fuoco sacrificale è fatto accendere da quello domestico, così egli si è staccato da te. Sebbene uno, appare diviso da te. Mentre eri a caccia di cervi, io fui avvicinata da te, o re. Io che ero una pura vergine nell’ashram di mio padre. Urvasi, Purvachitti, Sahajanya, Menaka, Viswachi e Ghritachi, queste sono le sei più famose tra le Apsara. E poi, fra loro, Menaka, figlia di un brahmana, è la prima. Discendendo dal cielo sulla Terra, dopo avere avuto dei rapporti con Viswamitra, lei mi diede i natali. La celebrata Apsara, Menaka, mi partorì in una valle di Himavat. Cieca ad ogni affetto, lei andò via, mi gettò là come se io fossi la creatura di qualcun altro. Quale grave atto peccaminoso devo aver mai commesso tanto tempo fa, in un’altra vita, per meritarmi di essere disconosciuta dai miei genitori prima, nell’infanzia, ed adesso anche da te! Siccome mi ripudi, io sono pronta a ritornare al rifugio di mio padre. Ma ti imploro di non rifiutare anche lui, perché questo ragazzo è tuo figlio. Ascolta
Trascrizione fonetica
Sentendo tutto questo Dushmanta disse -O Sakuntala, io non so se veramente ho generato con te questo figlio. Le donne sanno parlare spesso mentendo. Chi potrà mai credere alle tue parole? Priva di ogni rispetto, la dissoluta Menaka è tua madre, e lei ti abbandonò sulle pendici dell’Himavat come uno getta via, dopo che l’adorazione è finita, l’offerta di fiori che fece ai suoi dei. Anche tuo padre, di origine Kshatriya, il lussurioso Viswamitra che fu tentato, cedendo, sulla strada per divenire il più grande Brahmana ha perso ogni diritto al rispetto. D’altra parte, però, Menaka è comunque la prima delle Apsara, e tuo padre è anche il primo dei Rishi. Essendo loro figlia, perché dunque ti comporti come una donna dissoluta? Le tue parole non meritano alcun credito. Come ti permetti di parlarne, specialmente di fronte a me? Vattene via adesso, o perfida donna in sembianza di asceta. Dove è quel primo tra i grandi Rishi e dov’è anche l’Apsara Menaka? E perché tu, di così bassa origine, vai in giro come se fossi un pura asceta? Il tuo bambino è anche molto cresciuto. Tu hai detto che lui è appena un ragazzo, ma lui è molto forte. Come hai fatto a crescerlo così presto come un germoglio di Sala? Tu sei di bassa nascita e parli come una donna dissoluta. Con concupiscenza sei stata generata da Menaka. O donna di ascetiche sembianze, tutto ciò che stai raccontando mi è ignoto. Io non ti conosco. Vattene ovunque tu voglia.
Sakuntala rispose –Tu vedi, o re, la colpa degli altri anche se è piccola come un granello di senape. Ma non vedi le tue proprie colpe anche se sono grandi come il frutto Vilwa. Menaka è uno dei esseri celesti. Infatti, Menaka è posta come la prima dei celesti. La mia nascita, dunque, o Dushmanta, è di gran lunga superiore alla tua. Tu cammini sulla Terra, o re, ma io posso vagare nei cieli! Ecco, la differenza tra noi è come quella tra il monte Meru e un seme di senape! Ecco il mio potere, o re. Sono in grado di riparare nelle dimore di Indra, Kuvera, Yama e Varuna! È vero tutto ciò che ho detto prima, o senza peccato! E l’ho detto come insegnamento e non per fare del male. Ascolta quindi le mie parole e dimentica qualunque offesa io possa averti fatta. Finché una persona brutta non si guarda allo specchio pensa di essere più bella degli altri. Ma quando vede in uno specchio la sua faccia deforme, allora capisce la differenza tra sè e gli altri. Chi è veramente bello non disprezza nessuno, ma chi cerca sempre il male negli altri è un essere perfido. E come il maiale è sempre alla ricerca di sporcizia e sudiciume, anche quando sta nel bel mezzo di un giardino di fiori, così il malvagio estrae sempre il male da quanto dicono gli altri, tanto che dicano cose buone che malvagie. Coloro invece che sono saggi, sentendo i discorsi degli altri, anche se sono mescolati con il bene e il male, accettano solo ciò che è buono, come le oche che estraggono solo il latte, anche se è mescolato con l’acqua. Come gli onesti sono sempre addolorati a parlare male degli altri, così i malvagi sono sempre a gioire nel fare la stessa cosa. Come l’onesto prova sempre piacere nel mostrare rispetto per gli anziani, così i cattivi provano sempre gioia nell’osteggiare il bene. Gli onesti non sono felici a trovare gli errori. I malvagi sono felici nel cercarli per loro. I malvagi non parlano mai bene degli onesti. Ma questi ultimi non ingiuriano nessuno, anche se ne sono offesi. Cosa c’è di più ridicolo al mondo di quelle persone malvagie che accusano un santo di essere empio? Se un uomo uscito dal sentiero della verità e della virtù, divenuto iracondo come un serpente velenoso, riesce ad infastidire persino gli atei, quanta ansietà causerà ad una come me nutrita di ferma fede? Chi, avendo generato un figlio che è la propria immagine, lo rinnega, non accederà mai ai pianeti superiori, ed in verità gli dèi distruggeranno la sua fortuna e ciò che possiede. I Pitri hanno detto che il figlio continua la dinastia e la linea di discendenza e generarlo è, quindi, il migliore di tutti gli atti religiosi. Quindi nessuno deve abbandonare un figlio. Manu ha detto che ci sono cinque tipi di figli, quelli generati con la propria moglie, quelli ricevuti in adozione da altri, quelli acquistati per un corrispettivo, quelli allevati con affetto ed infine quelli generati con donne diverse dalla propria moglie. I figli sono il sostegno della la religione e la realizzazione come uomini, apportano gioie, e sono la salvezza dall’inferno per gli antenati defunti. Non ti conviene, quindi, o tigre tra i re, abbandonare un figlio che è così tanto per te. Pertanto, signore della Terra, onora te stesso, la verità e la virtù onorando tuo figlio. O leone tra i monarchi, non ti si conviene sostenere questa finzione. Accudire una vasca è più meritorio che farlo con centinaia di pozzi, così come compiere un sacrificio è ancora più meritorio. Ma un figlio supera anche il sacrificio. E la verità è ancora più preziosa di cento figli. La verità fu posta sopra un piatto di una bilancia e sull’altro furono messi più di cento “sacrifici del cavallo”, ma la verità risultò di maggior peso. O re, la verità può essere paragonata allo studio di tutti i Veda ed al bagnarsi in tutte le acque sacre. Non esiste virtù più alta del dire la verità: non c’è nulla che sia più elevato della verità. O re, la verità è Dio stesso; la verità è il più alto voto. Quindi, o re, non violare le tue promesse! Lascia che la verità faccia di nuovo parte di te. Se tu, nonostante tutto, non dai credito alle mie parole, io di mia volontà me ne andrò. Infatti, la tua compagnia dovrebbe essere evitata. Però sappi, o Dushmanta, che quando tu te ne sarai andato, questo mio figlio dominerà tutta la Terra circondata dai quattro mari e adornata con il re delle montagne”.
Vaisampayana continuò: ” Dopo aver pronunciato queste parole, Shakuntala si apprestò a partire ma, mentre Dushyanta stava lì seduto con intorno sacerdoti, ministri, precettori e consiglieri, una voce proveniente da una fonte invisibile si rivolse al re e gli disse: -La madre è lo scrigno prezioso che accudisce il figlio generato dal padre. Il figlio che viene così concepito dal padre è il padre stesso. Quindi, o Dushyanta, riconosci tuo figlio e non insultare oltre la pura Sakuntala. O migliore tra gli uomini, il figlio, che non è altro che la forma del proprio seme, salva gli antenati dalla regione di Yama. Tu sei il genitore di questo ragazzo: Sakuntala ha detto la verità. Il marito, dividendo il suo corpo in due, nasce da sua moglie nella forma del figlio. Perciò, o Dushyanta, o grande monarca, ama tuo figlio nato da Sakuntala. E’ una grande disgrazia per una persona vivere rinunciando ad un figlio. Quindi, o tu di razza Puru, accogli il tuo caro figlio, nato da Sakuntala, che è una grande anima. E poichè questo bambino ti sarà molto caro, anche in virtù del nostro intervento, sarà conosciuto con il nome di Bharata.
Ascoltate queste parole, pronunciate dagli abitanti in cielo, il monarca della dinastia Puru divenne pieno di gioia e rivolto ai suoi sacerdoti e ministri, disse:
-Avete sentito ciò che hanno affermato i messaggeri celesti? Io riconosco che questo ragazzo è mio figlio. Se lo avessi accettato come mio figlio, sulla base delle sole asserzioni di Sakuntala, la mia gente sarebbe stata diffidente e anche mio figlio non sarebbe stato considerato come puro”.
Vaisampayana continuò: “Il monarca, dunque, o discendente della dinastia di Bharata, vedendo che la virtù di suo figlio era stata affermata dai messaggeri celesti, fu colmo di felicità e prese a sè il figlio con enorme gioia. E Dushyanta, con il un cuore gioioso, svolse per suo figlio tutti quei riti che qualsiasi padre dovrebbe eseguire. Ed il re carezzava la testa di suo figlio e lo abbracciò con affetto. E i Brahmana cominciarono a pronunciare benedizioni su di lui ed i bardi ad acclamarlo. Il monarca sperimentò la grande gioia che si prova con il semplice toccare il proprio figlio. E Dushyanta unì anche la moglie, Sakuntala, alla sua gioia. E con grande tenerezza, rassicurandola, le disse: – O dea, la mia unione con te si è svolta privatamente, pertanto stavo pensando a come stabilire nel modo migliore la tua purezza. Non per me, ma il mio popolo avrebbe potuto pensare che eravamo stati solo accecati da momentanea lussuria ed uniti non come marito e moglie. Perciò, questo figlio che avrei presentato come mio erede, in realtà sarebbe stato considerato di nascita impura. Mia cara, ogni dura parola che hai pronunciata con rabbia, o bellissima dai grandi occhi, l’ho già dimenticata. Tu sei il mio bene più caro!”
Il saggio reale Dushmanta, dopo aver parlato così alla sua cara moglie, o Bharata, l’accolse a sè offrendole profumi, cibo e bevande. Il re Dushmanta, poi, dato il nome di Bharata al suo bambino, lo indicò formalmente come vero ed unico l’erede. E le ruote del famoso e brillante carro di Bharata, invincibile e simile a quelli posseduti dagli dei, attraversarono poi ogni regione, riempiendo tutta la Terra con il loro fragore. Il figlio di Dushmanta sottomise tutti i re della Terra che governò virtuosamente e guadagnando immensa fama. Questo grande monarca fu conosciuto con i titoli di Chakravarti e Sarvabhauma e compì molti sacrifici come Sakra, il Signore di Marut. A presiedere tali sacrifici, in cui le offerte ai Brahamana sono innumerevoli, fu il saggio Kanwa. Il misericordioso sovrano eseguì anche i riti della mucca e del cavallo e diede mille monete d’oro a Kanwa come offerta. Fu da questo Bharata che giunsero tanti successi. È da lui che la grande dinastia che gli succedette prese il nome. E nella dinastia Bharata nacquero molti monarchi, di qualità simili a quelle degli dei, dotati di grande energia come lui e come lo stesso Brahman. Il loro numero non può neanche essere contato. Quindi, o discendente della dinastia Bharata, mi limiterò ad indicarne i principali che sono stati benedetti, allo stesso modo degli dei, e che furono sempre al servizio della verità e dell’onestà.”